L’ondata iconoclasta proveniente dall’America, com’era ampiamente prevedibile, è giunta anche a quella periferia dell’impero che è l’Italia. E come era ancora più facile da intuire, l’attenzione si è concentrata sulla statua di Indro Montanelli. Già nel passato il tributo al giornalista era finito nelle mire di collettivi di sinistra, associazioni femministe. Al fondatore de Il Giornale non erano stati perdonati i suoi trascorsi in Etiopia e i suoi rapporti con una 12enne del posto che avrebbe “acquistato”.
Ma a differenza degli Stati Uniti, dove tra le altre è caduta la statua di Cristoforo Colombo, in Italia la proposta di abbattere il Montanelli milanese ha raccolto solo critiche. Da ogni lato dell’arco costituzionale.
Il direttore di Libero Vittorio Feltri ha parlato apertamente di “un’offesa sanguinosa al papa dei giornalisti italiani”. Persino Gad Lerner, seppur con argomenti completamente opposti a quelli di Feltri, ha smontato la richiesta di abbattere la statua: “Andiamoci piano con l’abbattimento delle statue. Qualcuno potrebbe ricordare che la Bibbia contempla schiavismo e patriarcato: rimuoviamo pure il Mosè di Michelangelo?”. Ha scritto su Twitter e poi ha aggiunto: “Montanelli è oggetto di venerazione sproporzionata alla sua biografia, non alimentiamola boicottandolo”. Chissà come la prenderà, come si è chiesto anche Dagospia, il neodirettore di Lerner, Marco Travaglio, che s’è sempre vantato di essere allievo di Montanelli e di averlo seguito, a differenza di tanti altri, persino nell’esperienza de La Voce “contro” la decisione di Berlusconi di scendere in campo in politica.
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