Il Senato ha approvato il disegno di legge sulla riforma della Rai con 142 voti a favore, 92 contrari e nessun astenuto. Le modifiche, però, non varranno per la nomina della prossima governance, per la quale sarà applicata la legge Gasparri. E già questo è un boccone duro da digerire per Matteo Renzi, che a febbraio assicurò che avrebbe mandato in pensione la Gasparri prima della nomina dei nuovi vertici. Non è passata, a causa dell’opposizione della minoranza democratica e di Forza Italia, la delega al Governo per la revisione normativa del canone. Nei mesi scorsi si è parlato di una rateizzazione del canone all’interno della bolletta elettrica e della revisione del finanziamento pubblico all’emittenza locale. Ma l’Esecutivo dovrà attendere per mettere mano alla materia. La prende bene Renzi, soddisfatto comunque per l’approvazione del testo in prima lettura. “Alcuni emendamenti, ha affermato il premier, saranno discussi alla Camera”. Renzi ha difeso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, la cui lettera alla Commissione Vigilanza Rai, avente ad oggetto la sollecitazione alla nomina della nuova governance, aveva fatto storcere il naso alla minoranza. Queste le parole del premier: “La Rai è una grande azienda e non può restare a lungo senza un presidente e un direttore generale. Offriremo i nomi più autorevoli e competenti sulla piazza”. Nelle ultime ore ha preso quota la candidatura di Antonella Mansi, ex presidente della Fondazione Montepaschi, per la quale ci potrebbe essere la convergenza delle forze politiche. Sorpassata Luisa Todini, che non ha l’ok di Forza Italia. Il Cda sarà comunque fortemente controllato dal Pd, che dovrebbe esprimere quattro dei sette nomi.
Revisione del canone a parte, la riforma della televisione pubblica ha passato l’esame di Palazzo Madama. Prolungata a cinque anni la disciplina dei contratti per lo svolgimento del servizio pubblico. Il Consiglio dei Ministri avrà rilevanti poteri per le delibere degli indirizzi sul rinnovo del contratto nazionale. Via libera alla riduzione del Consiglio di amministrazione, portato da 9 a 7 membri. 2 saranno eletti dalla Camera, 2 dal Senato, 1 dai dipendenti dall’azienda, 1 amministratore delegato sarà indicato dal Governo e un Presidente nominato dal Cda con il filtro della Commissione Vigilanza. Insomma, tutto pare tranne che una governance indipendente dal potere politico, ma Renzi sostiene di voler modellare la Rai sul modello della Bbc. C’è un’effettiva inconciliabilità tra le parole del premier e il contenuto della riforma. L’amministratore delegato, che, giova ricordarlo, è nominato dal Governo, sostituisce la figura del direttore generale e acquisisce poteri più ampi. Nominerà direttamente direttori e dirigenti di seconda fascia con il parere non vincolante dal Cda. L’eccezione è rappresentata dalla nomina dei direttori di testata, per la quale non dovrà esserci l’opposizione di due terzi del consiglio. L’amministratore avrà massima autonomia sulla gestione economica, potendo firmare contratti fino a 10 milioni. Questa figura, che non sembra avere omologhi in Europa, rischia di essere di nocumento all’autonomia editoriale. I consiglieri del Cda potranno essere rimossi su proposta dell’assemblea dei soci della Rai, che sarebbero la Siae e il Ministero dell’Economia. Un’altra disposizione elimina il pericolo di conflitti di interesse. Oltre all’ovvia incompatibilità con cariche di Governo vi è anche la prescrizione in base a cui non possono essere nominati coloro che cumulino cariche in società concorrenti. Un tetto per le retribuzioni è previsto per tutto il personale della Rai, ad eccezione dell’amministratore delegato. Altra delega legislativa, oltre a quella bocciata per il canone, riguarda il testo unico della radiotelevisione, che dovrebbe essere riscritto nei prossimi mesi. L’obiettivo è la razionalizzazione del quadro normativo in relazione alle nuove piattaforme tecnologiche. Infine è prevista la deroga alla disciplina contenuta nel codice dei contratti pubblici per i contratti aventi per oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o la commercializzazione di programmi radiotelevisivi, e i contratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria.
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