Con il Decreto ministeriale del 20 luglio 2012 n. 140 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 195 del 22.8.2012) sono stati stabiliti i nuovi “indicatori” o “parametri” da applicare nel caso in cui sia il giudice il soggetto destinato a determinare il valore della prestazione quando, fra professionista e cliente, al momento dell’affidamento dell’incarico, manchi l’accordo.
Fanno eccezione alla norma invece gli ausiliari del giudice, ossia i professionisti che ricoprono incarichi in vece del magistrato; per loro, infatti, continueranno a valere le liquidazioni determinate dalla normativa dedicata, il dpr 115 del 2002. Oltre alle liquidazioni degli ausiliari restano fuori anche tutte le liquidazioni pendenti fino a ieri. Nonostante l’evoluzione semantica, da tariffe a parametri, e che adesso il “prezzo” venga fissato da un regolamento ministeriale, la somiglianza fra le une e gli altri è palese, anche strutturalmente parlando.
Il Ministero, dunque, non ha soddisfatto l’opinione negativa del Consiglio di Stato sulla conservazione delle forbici di oscillazione dei parametri dal valore medio, che generano, chiaramente, la pericolosa possibilità di incorrere nuovamente nella “riedizione surretizia delle griglie tariffarie” comprese tra un minimo e un massimo. Per il Ministero, d’altra parte, c’è stato bisogno di conservare l’oscillazione di valore, sulla quale il giudice applicherà la propria discrezionalità, per scongiurare il pericolo contrario, cioè di appiattire il compenso indipendentemente dal contenuto della prestazione, quindi in evidente contraddizione con l’ispirazione “liberista” della manovra legislativa.
Escluse dai canoni del “compenso unitario e omnicomprensivo” rimangono le spese patite dal professionista (anche in questa circostanza contraria la volontà del Consiglio di Stato, attento soprattutto a diversificare i parametri dalle tariffe) che, ad ogni modo, il giudice liquiderà riferendosi alla “prova documentale” di quelle dimostrabili realmente.
Alla luce del rinnovato contesto regolamentare spuntano delle novità inevitabili sostanzialmente; infatti è facile per il professionista fare una valutazione “negativa” dell‘assenza del preventivo, eventualità che potrebbe incoraggiare il giudice a fissare un compenso più basso. Valutazione negativa che non risparmierebbe nemmeno le regole per l’incarico collegiale, liquidato nei limiti dei parametri e raddoppiabile solo fino al doppio, indipendentemente dalla quantità di professionisti coinvolti nella prestazione. Per quanto concerne, invece, l’incarico concesso a una società di professionisti non sono state fatte deroghe, il giudice applicherà, anche in questo caso, il parametro “singolo”.
La differenza maggiore fra le tariffe e i parametri, anche se, a ben guardare, è più che altro di matrice ideologica che pragmatica come ci si potrebbe aspettare, è il principio per il quale i nuovi limiti numerici stabiliti nelle tabelle del decreto non sono “in nessun caso vincolanti” per la determinazione del compenso: una postilla di stile che pare mirare più che altro all’eventualità in cui il giudice rilevi profili di approssimazione nella prestazione erogata.
La disciplina dedicata agli avvocati, del resto, è l’evidente risultato dell’attuazione di questa premessa; infatti in merito ad essa l’abuso degli strumenti processuali a qualsiasi fine perpetrati incide, certamente in modo negativo, sulla determinazione del prezzo. Proprio nella disciplina forense, tuttavia, spunta un altro indice di “familiarità” con le abolite tariffe, ossia quando il legislatore impone la rivalutazione Istat delle parcelle – ferma, tra le altre cose, al 2004 – accogliendo così, nella pratica, la misura sospirata dai legali, cioè il 24,1 %.
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