Tra questo mercoledì e venerdì tutti i dubbi sul futuro dell’albo dei giornalisti pubblicisti sollevati dalla riforma delle professioni regolamentate, così come prescritto dal dl 138/2011 (art.3 comma V), dovrebbero trovare una soluzione unitaria, presto dettata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine. Le prime linee guida dovrebbero essere rese note in queste ore in una riunione degli ordini professionali convocata dal guardasigilli Paola Severino. Ma prima di giungere al 18 gennaio numerosi sono i nodi da sciogliere riguardo la nuova regolamentazione sull’accesso alla professione giornalistica ed il suo impatto sulla situazione lavorativa di 80mila giornalisti “non” professionisti attivi in Italia.
Nelle scorse settimane un relativo grado di incertezza è stato favorito anche dalle opposte visioni di due esimi rappresentati dell’Ordine, ovvero l’attuale presidente nazionale dell’Odg, Enzo Iacopino ed il consigliere e presidente per quasi vent’anni dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Franco Abruzzo. Lo scontro si è concentrato sull’interpretazione della previsione di legge introdotta dal decreto Salva Italia (Dl 201/2011) in merito all’abrogazione a partire dal 13 agosto 2012 di tutte le norme in contrasto con l’obbligo dell’esame di Stato per l’accesso alle professioni regolamentate. Un aspetto per forza di cose destinato a coinvolgere anche la Legge istitutiva dell’Ordine (L.69/1963) che in via generale stabilisce per gli aspiranti giornalisti pubblicisti il “solo” accertamento amministrativo dell’attività giornalistica svolta per due anni in maniera continuativa e retribuita presso una testata, previa certificazione da parte del direttore responsabile. Un punto, questo, che ha destato scompiglio riguardo la sorte di coloro che sono già iscritti ad un Albo, quello dei pubblicisti, che sarà posto fuori legge dal nuovo quadro normativo nazionale anche in previsione del recepimento delle corrispondenti direttive europee (direttiva comunitaria 89/48/CEE recepita dal dlgs 206/2007) che impongono già il superamento di una prova attitudinale per l’accesso alle professioni intellettuali.
Il pomo della discordia è rappresentato proprio dall’art. 33 comma V della Costituzione posto a preambolo del citato comma V dell’ art. 3 del dl 138/2011 (“È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”). Il Presidente dell’Ordine, in una lunga nota diramata il 30 dicembre aveva ribadito che l’abrogazione in oggetto non avrebbe toccato la Legge istitutiva dell’Ordine dato che avrebbe colpito solo le leggi in violazione dei principi elencati dalla lettera a) alla lettera g) del decreto in questione vale a dire: accesso libero alla professione; obbligo della formazione continua; tirocinio della durata massima di 18 mesi (ciò che in ambito giornalistico è definito praticantato); compenso del professionista stabilito per iscritto in base alla complessità dell’incarico; obbligo di assicurazione; divisione tra organi che esercitano funzioni disciplinari e organi con compiti amministrativi, a livello nazionale e territoriale; libera pubblicità informativa su qualità e titoli professionali. Si tratta di principi, a detta di Iacopino, già in linea con il quadro giuridico prospettato dall’Ordine e conclude: “Il primo capoverso del comma 5 (“Fermo restando l’esame di Stato di cui all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate”, ndr), dunque, non è richiamato: era questo che faceva riferimento all’esame di Stato ed è questo che aveva indotto i colleghi pubblicisti ad una ribellione sacrosanta, che ho cercato di rappresentare al presidente Monti, pubblicamente nel corso della conferenza stampa e, sia pur brevemente, in privato”.
Una posizione che è stata però smontata dal collega Franco Abruzzo, il quale lapidario, ha chiarito sul proprio sito: “Il comma 5 si colloca come preambolo o premessa rispetto ai principi che seguono dalla lettera a) alla lettera g). Non è possibile slegare la premessa dai principi, perché altrimenti non si capirebbe il riferimento al tirocinio (=praticantato) se non si lega all’esame di stato che è la conclusione logica del tirocinio medesimo (che non è richiesto ai pubblicisti). Finora era stato tenuto sotto traccia il vero problema che tormenta il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti: i pubblicisti, che, in base al comma 5 citato, non hanno futuro. Da queste considerazioni si comprende che Iacopino ha tentato, fallendo, una operazione elettorale per salvare la sua cadrega sorretta dai consiglieri nazionali pubblicisti dell’Ordine. Il Consiglio nazionale dell’Ordine ha prospettato al Ministero della Giustizia l’individuazione per i pubblicisti di un “percorso formativo professionalizzante”, che, comunque, non può prescindere dall’esame di Stato (art. 33, V comma, della Costituzione). La Cassazione ha scritto più volte che i pubblicisti non possono lavorare nelle redazioni (Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-2005, n. 7016). La strada è stretta e Iacopino lo sa”.
Una consapevolezza che il presidente dell’Odg sembra aver confermato solo nelle ultime ore alla luce delle sue dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera ed uscite oggi: “La riforma che vogliamo prevede un albo unico, con i due elenchi (professionisti e pubblicisti) che si formeranno con una opzione da esercitare dopo l’esame di Stato.” Una riforma che dunque punterebbe a regolarizzare la posizione degli 80mila giornalisti pubblicisti obbligati ad un percorso di formazione permanente, dando l’opportunità a coloro che oggi non hanno i requisiti per accedere al praticantato, di iscriversi nell’apposito registro e diventare de iure ciò che in diversi casi erano solo nella prassi, ovvero professionisti. A questo punto una domanda sorge spontanea: chi è che sceglierà di diventare o rimanere pubblicista a fronte dell’ultimazione di un iter così complesso? Infine, ha davvero senso mantenere la distinzione dei due albi?
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