Liberazione è in crisi da un bel po’. Tredici giornalisti se ne sono già andati passando dall’uscita di servizio della cassa integrazione. Per gli altri 17 redattori e i 14 poligrafici ci sono invece i contratti di solidarietà. A metà dicembre, la sorpresa: arriva una raccomandata che non è un regalo di Natale. La società editrice disdetta unilateralmente gli accordi e sospende le pubblicazioni in attesa che la Regione metta tutti in Cassa integrazione a zero ore. Nel frattempo propone di andare avanti con il sito, dal quale si può scaricare una versione di due pagine in formato pdf di Liberazione, per non perdere il diritto ai contributi pubblici. Formazione del nuovo giornale: direttore, vicedirettore, un redattore e un poligrafico. Gli altri, a casa.
Parte l’occupazione della redazione, ma l’azienda non si commuove. E siccome nemmeno gli occupanti cedono, prima si stacca la spina al giornale in pdf, poi al sito.
La ragione di questo piccolo grande dramma della sinistra è semplice: non ci sono più soldi. Il governo Monti non vuole riaprire i rubinetti dei fondi ai giornali di partito. Il taglio, per Liberazione, potrebbe significare dover rinunciare almeno a 2 milioni di euro (nel 2010 ha messo a bilancio 3,4 milioni): praticamente metà dei ricavi. Che il quotidiano di Rifondazione possa stare in piedi senza quei contributi, è pura immaginazione. I conti del 2010 parlano chiaro. Il fatturato delle vendite è stato di un milione 28 mila euro, che si traduce in una diffusione media di circa 4mila copie. Fra il 2009 e il 2010, dice il sindacato, il giornale avrebbe perso 2.400 copie e gran parte della poca pubblicità. Risultato che l’azienda addebita alla crisi generale e che il comitato di redazione (cdr) sembra addebitare anche alla gestione del quotidiano.
Così si è arrivati, martedì scorso, a svelare un sospetto. Che «all’azzeramento del quotidiano e della redazione tutta, giornalisti e poligrafici», ha affermato il cdr in una nota velenosa, corrisponda «il tentativo di usare il denaro dei cittadini in modo improprio e scorretto». Che può significare? Forse liberarsi degli stipendi da pagare trovando il modo di incassare ugualmente i contributi? «Calunnie infondate!», ringhia Marco Gelmini, amministratore di Mrc. Il fatto è che i fondi per i giornali di partito non saranno azzerati. Il che rende tutto più imbarazzante.
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