Editoria

Turchia, Erdogan compra i media di opposizione

Non ci sono settimane in cui manchi un aggiornamento sulla pericolante situazione dei media in Turchia. Questa volta l’azione di Recep Tayip Erdogan va dritta alla radice dell’informazione. La holding Dogan, di proprietà del magnate Aydin Dogan, ha deciso di vendere alcune testate ad una serie di imprenditori locali molto vicini al presidente turco. E’ quindi a rischio l’indipendenza di quotidiani laici come Hurriyet e Posta e di canali tv molto influenti (CNN turca e Kanal D). I precedenti sono infausti per la libertà di stampa: nel 2011 Yildirim Demironen, presidente della Federcalcio turca molto vicino ad Erdogan, acquistò i quotidiani Milliyet e Vatan, che da allora hanno modificato la propria linea editoriale in favore del presidente turco. Una vendita che fu accelerata da una pesante sanzione per evasione fiscale (2,5 miliardi) sul gruppo Dogan. Lo stesso Demironen è al centro della maxi trattativa dei giorni nostri. A questo punto la censura di Erdogan diventa stringente. Secondo una ricerca della testata Birgun, 21 quotidiani su 29 sono in una situazione di completa accondiscendenza verso le azioni del presidente turco. All’opposizione resta l’indomito Cumhuriyet, pur indebolito da provvedimenti giudiziari senza fondamento.
Qualche giorno fa una pronuncia della Corte europea dei diritti umani ha certificato le continue violazioni dei diritti e della sicurezza dei giornalisti turchi. La sentenza è originata dal caso, uno dei tanti, di Sahim Alpay e Mehmet Hasan Altan, arrestati dopo il tentato colpo di stato del 2016. Secondo gli ultimi rapporti sono ben 154 i reporter finiti dietro le sbarre con dubbie accuse. In generale è dal tentativo di golpe del luglio 2016 che si susseguono le “purghe” effettuate dal padre padrone del paese, Recep Tayip Erdogan, per presunti coinvolgimenti di esponenti della società civile con la sua nemesi, l’ayatollah Fethullah Gulen, ritenuto la mente dietro il colpo di stato. Oltre 50.000 persone sono attualmente detenute con l’accusa di propaganda terroristica e incitazione al disordine.
La Turchia, che è da anni nelle ultime posizioni di “World press Freedom”, è ormai tristemente nota come “ la più grande prigione al mondo per chi lavora nel settore dei media”. La sediziosità delle accuse con cui i giornalisti vengono condannati a gravissime pene postula l’assenza di un vero e proprio stato di diritto. Il fatto che la stampa possa anche essere comprata è probabilmente di maggiore gravità, data dalla minore risonanza mediatica dell’operazione e dalle sue implicazioni economiche e finanziarie. A Istanbul, infatti, la Borsa ha fatto registrare un +17% per le azioni del gruppo Dogan e un + 19% per il gruppo editoriale Hurriyet.

Giuseppe Liucci

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