Rcs, si chiude l’aumento. Ma per la mappa definitiva c’è da aspettare

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sede Rcs, in via Rizzoli
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Rcs Mediagroup: si chiude l’ultima fase della ricapitalizzazione da 421 milioni (400 milioni di azioni ordinarie e 21 di risparmio). Oggi è l’ultimo giorno per esercitare i diritti rilevati nell’asta per l’inoptato. Si tratta di un 15% dell’intera ricapitalizzazione, pari all’11,2% del nuovo capitale sociale. Esercitarli costerà circa 56 milioni di euro.
È bene precisare che l’esercizio dei diritti acquisiti è solo una possibilità, non un obbligo. Inoltre è ancora presto per scoprire gli “investitori oscuri”. Infatti oggi verrà reso noto solo il dato numerico finale su quanti diritti sono stati convertiti in azioni. Del tipo: su 16,2 milioni di diritti (la quantità di inoptato) ne sono stati esercitati (e quindi sono diventate azioni), un “tot”.
Per avere i nomi – ammesso e non concesso che ci siano grandi investitori dietro – bisognerà aspettare fino al 22-24 luglio. Ciò perché le regole della Borsa affermano che i nuovi soci superiori al 2% (e nel caso dei fondi la soglia si alza al 5%), hanno cinque giorni lavorativi di tempo per informare il mercato sulle relative sottoscrizioni. Tale regola non vale per gli azionisti rilevanti già presenti in società. Questi devono comunicare subito le loro operazioni. E la Consob non ha evitato di ricordarlo. Quindi è molto improbabile che dietro l’acquisto dell’inoptato ci siano Diego Della Valle (8,8%), Mediobanca (15,14%), Intesa Sanpaolo (5%) e Fiat (20,123%). Loro avrebbero dovuto comunicarlo “per direttissima”. Per la verità si è pensato anche ad illustri partner esterni o stranieri come Urbano Cairo, Barilla e addirittura a Axel Springer e Rupert Murdoch. Ma tutti hanno smentito.
Per quanto concerne, invece, le comunicazioni per l’esercizio dei diritti, i piccoli investitori (quelli cioè inferiori al 2%) non hanno nessun obbligo.
Ricordiamo che la quasi totalità dell’inoptato è stata rilevata da quattro fondi di investimento, di cui solo uno avrebbe un pacchetto superiore al 5%. Di conseguenza dovrebbe arrivare al massimo una sola comunicazione alla Consob. Ciò vorrebbe dire che nessun nuovo socio ha rilevato una partecipazione rilevante. Ma ci sarebbero tanti piccoli investitori intenti a speculare sul titolo e non ad entrare nella governance. Inoltre i fondi potrebbero anche decidere di non esercitare i diritti acquisiti, ma di venderli. In tal caso entrerebbe in gioco il consorzio di garanzia.
Intanto l’Autorità presieduta da Giuseppe Vegas sta ancora indagando per far luce su un 5-10% del capitale sottoscritto, nei giorni scorsi, da soggetti non dichiarati. Si tratta di un investimento fatto in sede di aumento. Ma la titolarità è ancora incognita. In tutto, quindi, non è ancora nota una paternità dei titoli pari al 20-25% di quelli totali: 5-10% del capitale già sottoscritto e un inoptato del 15%. Saranno giorni intensi per Rcs e la Consob.
Ma gli appuntamenti importanti per la società che edita il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport non si esauriscono con la fine dell’aumento di capitale. Per fine mese, infatti, è previsto un incontro dei soci (non si sa ancora se tra i soli pattisti e tra tutti gli azionisti) per decidere sul futuro del patto. Il quale dopo l’operazione dovrebbe vincolare il 60% del capitale sociale. Fiat è l’unica che vorrebbe la sopravvivenza dell’accordo parasociale. Forse perché ha investito molto (90 milioni) per raddoppiare la sua quota, portandola al 20,123%. E ora il Lingotto non vuole mollare di un millimetro. È possibile che la società presieduta da John Elkann arrivi ad un compromesso: un patto “light”, di sola consultazione e con vincoli meno stringenti.

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