Rcs Mediagroup, operazione a rischio. Alcuni soci si schierano contro l’aumento di capitale e il rifinanziamento del debito, con la conseguenza di bloccare l’aumento di capitale. Morale della favola: si cerca un compromesso. I soci chiedono, infatti, una riduzione dei tassi di interesse; le banche un “lock-up” delle quote interne al patto. Ma vediamo come sono andati i fatti. E procediamo un passo alla volta.
Il piano finanziario consistente nell’aumento di capitale e nella rinegoziazione del debito non piace (aspetto noto da tempo) ad alcuni azionisti. Soci industriali come Diego Della Valle, Benetton e Merloni, per esempio, hanno più volte criticato il progetto dell’ad di Rcs, Pietro Scott Jovane ritenendolo punitivo non solo per i soci, ma anche per la “salute” della società. E poi, hanno rincarato la dose: “quel piano è troppo diluitivo”. Ovvero le nuove azioni saranno emesse ad un prezzo inferiore rispetto a quello attuale di mercato. E chi non parteciperà vedrà il proprio investimento in Rcs ridursi drasticamente. Il patron della Fiorentina, per capirci, passerebbe dall’8,7% all’1,64%. E Giuseppe Rotelli dal 16,6% al 3%. Nello stesso tempo, però, favorirebbe le banche creditrici, alcune delle quali sono anche azioniste della stessa Rcs.
In primis Intesa Sanpaolo. La quale ha il 4,9% delle quote interne al patto che vincola il 58% delle azioni. Tuttavia la banca è anche creditrice di circa 300 milioni nei confronti della società che edita il Corriere della sera e la Gazzetta dello Sport. Inoltre Intesa è presente anche nel consorzio di garanzia (il pool di banche che rileverà il 41% delle eventuali azioni inoptate per un totale di oltre 180 milioni di euro) tramite Banca Imi. E poi c’è Mediobanca, primo socio pattista con il 13,6% delle quote. Anche questo istituto è presente nel consorzio. Fino a ieri si pensava che la banca di Piazzetta Cuccia fosse in credito con Rcs per 50 milioni. Ma l’ad, Alberto Nagel ha precisato che «Mediobanca non ha alcuna esposizione creditizia verso Rcs. Ma ne potrebbe avere una fino a 25 milioni dopo la ricapitalizzazione e il rifinanziamento del debito».
Lo scontento dei soci potrebbe tradursi nel blocco dell’operazione di aumento di capitale. Infatti la ricapitalizzazione necessita del voto favorevole dei due terzi dei rappresentanti del capitale sociale nell’assemblea straordinaria (che si terrà il 30 maggio). E al momento i “numeri” non sono assicurati. Della Valle (8,7%) e Benetton (che ha recentemente limato la propria quota dal 5,1% al 4,8%) hanno già dichiarato che voteranno contro. E lo stesso farà probabilmente anche Merloni (2%). Poi c’è una lunga schiera di indecisi. Tra questi sarà pesante il parere espresso da Giuseppe Rotelli (primo socio fuori dall’accordo parasociale con il 16,6% dei diritti di voto) e quello di Italmobiliare dei Pesenti (7,4%).
Ora, bloccando l’operazione di aumento la continuità aziendale sarà compromessa. Il capitale sociale è già stato “eroso” oltre i limiti dalle perdite. E senza nuovo denaro per Rcs si apriranno le procedure concorsuali. Con il rischio di portare i libri contabili in Tribunale con tutte le conseguenza del caso.
Un altro tassello fondamentale è la rinegoziazione del debito in scadenza con le banche. Rcs deve rifinanziare 575 degli 850 milioni di debito con gli istituti. Le banche esposte sono Intesa, Unicredit, Ubi, Bpm, Bpn-Paribas (e Mediobanca?). Il piano di rimodulazione prevede tre linee di credito a breve e medio termine. Ma alcuni soci sono dissenzienti. Per loro il tasso di interesse al 6% sarebbe troppo alto. Inoltre la metà della prima parte della ricapitalizzazione, cioè 200 milioni, andrebbe a ripagare gli istituti bancari e non per le esigenze di ristrutturazione industriale e aziendale.
Le banche, da parte loro, vogliono delle garanzie. La prima è la buona riuscita dell’operazione di aumento di capitale. Inoltre hanno chiesto un “lock-up” di sei mesi ai soci del patto per impedire la “fuga” dei capitale. In altre parole le banche vogliono che gli azionisti dell’accordo parasociale non vendano le loro quote per almeno sei mesi successivi alla ricapitalizzazione. Quindi più o meno fino al gennaio del 2014.
Intanto Victor Massiah, ad di Ubi, una banca creditrice verso Rcs e presente nel consorzio di garanzia tramite Centrobanca, sembra aprire le porte al dibattito. «Anche se ci sono contrasti tra gli azionisti, noi non abbiamo mai negato il nostro aiuto nei limiti della ragionevolezza», ha precisato Massiah.
Un riavvicinamento tra le parte potrebbe anche avvenire in vista del cda del 14 maggio, quando saranno approvati i conti del primo trimestre del 2013.