Rcs Mediagroup: la ricapitalizzazione è a rischio. I soci “indecisi” potrebbero compromettere l’operazione. Senza l’assenso dei due terzi degli azionisti l’assemblea straordinaria non può deliberare l’aumento di capitale. Saranno decisivi Giuseppe Rotelli e Italmobiliare. Enrico Tommaso Cucchiani, ad di intesa, rassicura gli animi: «Sarebbe una grave responsabilità non concedere a Rcs di andare avanti. Penso che voteranno a favore anche chi ha già deciso di non partecipare». Diego Della Valle si oppone: «Meglio il commissariamento con l’applicazione della legge fallimentare». Dunque continua lo “scontro”. La continuità aziendale è a rischio?
Ma procediamo con ordine.
Il 30 maggio l’assemblea straordinaria dovrà approvare il piano finanziario. Ma senza una delibera favorevole di almeno il 66% (due terzi) dei soci la ricapitalizzazione, ormai data per scontata, non può avere inizio. Basta un terzo degli azionisti contrari all’aumento per bloccare la continuità aziendale. Ricordiamo che Rcs, per evitare di portare i libri contabili in Tribunale, ha bisogno di nuove risorse: 400 milioni entro luglio e 200 entro il 2015.
Già è noto che Diego Della Valle (8,7%), Benetton (5%) e Merloni (2%) voteranno contro l’operazione. E la schiera degli indecisi è “pericolosamente” folta. Italmobilare (7,4%), Sinpar (2%), Eridano Finanziaria (1,2%), Giuseppe Rotelli (16,6%) non hanno ancora aderito all’aumento. E, di conseguenza, potrebbero anche votare contro l’operazione. Anche se la relazione tra adesione alla ricapitalizzazione e partecipazione alla stessa non è univoca. Un socio potrebbe anche decidere di non parteciparvi, ma votare “sì” nella assemblea. Questo potrebbe essere il caso di Assicurazioni Generali (3,2%). La compagnia di Trieste, tramite il suo ad, Mario Greco, ha già rinunciato alla ricapitalizzazione. Ma potrebbe votare positivamente il 30 maggio (alcuni pensano che questa decisione potrebbe essere motivata dalla vicinanza di Generali a Mediobanca, istituto socio con il 13,7% delle quote e creditore di Rcs).
Ma, in ogni caso, chi dovesse votare a favore e poi non dovesse poi ricapitalizzare perderebbe il proprio investimento in Rcs. In altri termini concorrerebbe a “demolire” il proprio investimento. In soldoni sarebbe una operazione finanziariamente autolesionista. Ciò è dovuto proprio alla “diluizione” dell’aumento stesso, aspetto tanto criticato da Della Valle e Paolo Merloni (azionista con il 2% e consigliere dimissionario). Ovvero le nuove azioni saranno emesse ad un prezzo sensibilmente più basso rispetto a quello di mercato che si aggira sui 0,74 euro a titolo (il numero e il prezzo di nuovi titoli dovrebbe essere deciso nel prossimo incontro del 14 maggio). Ma facciamo ora un esempio emblematico su come potrebbero cambiare le quote di chi decidesse di non ricapitalizzare. Giuseppe Rotelli, il primo azionista fuori dal patto con il 16,6% delle quote, se non parteciperà all’operazione potrebbe crollare anche al 2%. Quindi l’imprenditore della sanità potrebbe anche decidere di salvaguardare in primis il suo investimento. E come lui gli altri soci indecisi e non convinti al cento per cento del piano finanziario dell’ad di Rcs, Pietro Scott Jovane. Tuttavia già considerando coloro che voteranno “no” (Benetton, Della Valle e Merloni) arriviamo al 15,8% delle quote dei soci dell’assemblea. E con il 16,6% di Rotelli si arriverebbe ad oltre il 32%. Ecco che siamo ad un passo dal superamento di un terzo del capitale rappresentato in assemblea. A questo punto basterebbe il parere contrario di qualche altro indeciso (tra Italmobiliare, Eridano e Sinpar) per impedire la ricapitalizzazione.
Una terza opzione sarebbe quella di non presentarsi all’assemblea. Tale comportamento ridurrebbe più facile il raggiungimento del “quorum” dell’66% necessario per deliberare.
Enrico Cucchiani, ad di Intesa Sanpaolo, sta cercando di rassicurare gli animi. «Mi sembra difficile votare contro la ricapitalizzazione. Rcs racchiude la crema dell’imprenditoria e della finanza italiana. Sarebbe una grave responsabilità non concederle di andare avanti. Penso che voteranno a favore anche chi ha già deciso di non partecipare. Poi, una volta assicurato l’aumento si penserà al futuro», ha dichiarato l’ad della banca.
Ricordiamo che Intesa, oltre ad essere socio pattista con il 4,9% delle quote, è anche il primo creditore nei confronti del gruppo che edita il Corriere della sera e la Gazzetta dello Sport. Rcs deve ad Intesa ben 300 milioni di euro. E l’istituto torinese, tramite Banca Imi, è anche presente nel consorzio di garanzia: un pool di banche che rileverà oltre il 40% delle azioni inoptate per un investimento di oltre 180 milioni. Intesa, così come Fiat, si è dimostrata disponibile a rilevare parte dell’inoptato interno al patto. Infatti investirà ulteriori 10 milioni di euro che dovrebbero corrispondere al 2,5% delle azioni “non riscattate” dagli altri soci pattisti (gli azionisti dell’accordo parasociale che vincolano il 58% delle azioni dovrebbero coprire fino al 50% degli stessi titoli ricapitalizzati). Inoltre la banca dovrà anche garantire 220 dei 575 milioni di debito da riscadenzare con nuove linee di credito. Quindi Intesa ha un peso enorme nel piano finanziario di Rcs.
Intanto Della Valle continua ad opporsi. L’imprenditore marchigiano dopo aver mandato due lettere di protesta al cda e dopo aver minacciato una azione di responsabilità nei confronti degli amministratori “viziati” da conflitto di interessi, sembra orami deciso di non partecipare alla ricapitalizzazione. I motivi sono quelli già citati: operazione troppo diluitiva, premiante per le banche e sconveniente per i soci. In effetti la metà della prima parte della ricapitalizzazione, 200 milioni, serviranno per coprire il debito nei confronti delle banche creditrici.
Per Della Valle sarebbe più opportuno ricorrere alla legge fallimentare. In particolare agli articoli 67 e 182 bis. Ovvero Rcs, per l’imprenditore marchigiano, andrebbe commissariata, oppure ammessa ad un concordato preventivo. Anche mettendo a rischio la continuità aziendale. Tutto tranne la ricapitalizzazione «i cui veri beneficiari – precisa Della Valle – sono le banche creditrici [tra cui “spicca” proprio Intesa, ndr]».
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