Rcs Mediagroup punta tutto sul digitale. L’ad del gruppo, Pietro Scott Jovane ha dichiarato che nel 2015 Rcs sarà «una società multimediale». E che «il web è una grande opportunità». Infatti la pubblicità online è data in lento, ma costante aumento. La speranza è che i ricavi digitali arriveranno al 21% rispetto quelli totali. Da qui la mossa di Rcs pronta a investire 150 milioni nella multimedialità. Mentre si taglierà sugli asset non proficui come i periodici. Ma cosa accadrà ai giornalisti delle dieci testate in vendita?
Procediamo con ordine.
Il piano di Jovane punta tutto sullo sviluppo del digitale. L’ad di Rcs lo ha dimostrato nella “conference call” di lunedì con gli analisti e nella lettera mandata ai dipendenti del gruppo. «Crediamo molto nel piano. Ci porterà fuori da un momento difficile. Il web è una grande opportunità per raggiungere nuovi obiettivi. Rcs sarà entro il 2015 una società multimediale. Rafforzeremo la nostra presenza sul web e punteremo a triplicare gli abbonamenti digitali», ha affermato Jovane.
Entro il 2015 l’ad vorrebbe che i ricavi digitali arrivassero al 21% di quelli totali (oggi coprono solo il 9%). Il web sembra l’unico settore che “tira”. La pubblicità online è prevista in aumento dell’11% all’anno. Mentre quella tradizionale è in continuo calo. E anche per i prossimi anni le prospettive del “cartaceo” non sono rosee. Insomma: la dirigenza di Rcs vuole cavalcare l’onda della rete: il digitale sarà la stampella della carta fino a tempi migliori. E per tale obiettivo si investiranno 150 milioni di euro. Anche se Rcs non attraversa, da anni, un buon momento economico. Nel 2012, per capirci, ha perso 509 milioni. E nel 2011 il “rosso” è stato di circa 320 milioni.
Quindi trovare le risorse per lo sviluppo delle nuove tecnologie non sarà semplice. Ma la strategia della dirigenza sembra essere abbastanza chiara: risparmiare o eliminare porzioni di società non fondamentali e traghettare tutta la liquidità sul web. Non dimenticando però la restituzione dei crediti alle banche che rimangono sempre la priorità rispetto ad ogni investimento.
Per fare cassa sarà venduta la partecipazione (del 55%) in Dada, società (paradossalmente) di servizi digitali. L’operazione dovrebbe valere 54 milioni. Era prevista anche una vendita di una parte del patrimonio immobiliare. Parliamo della sede storica del Corriere della Sera, a Milano, in via Solferino e di quella di San Marco. La cessione più probabile dovrebbe scattare solo per il secondo immobile visto che l’ipotesi di mettere in vendita i locali di via Solferino è stata criticata in maniera aspra dai dipendenti. In ogni caso il mercato del mattone è anch’esso in crisi. Quindi “vendere bene” sarà a dir poco difficile.
Riguardo alla gestione caratteristica sono previsti tagli di 145 milioni nei prossimi tre anni. Si cercherà di razionalizzazione le spese relative al personale. E già nell’anno in corso si potranno risparmiare 80 milioni sulle “efficienze” del personale.
Ma c’è un problema fondamentale che sta passando quasi inosservato, soppiantato dall’investimento sul digitale, dall’aumento di capitale e dalla rinegoziazione del debito. Si tratta del futuro dei dieci periodici finiti sul mercato. Parliamo di A, Astra, Novella 2000, Brava Casa, L’Europeo, Max, Visto, Yacht & Sail, Ok Salute e il polo dell’enigmistica. Rcs vorrebbe liberarsene. In effetti nel 2012 i periodici hanno avuto un fatturato di 180 milioni (-19% rispetto al 2011). Il risultato operativo è stato di 10 milioni di perdite. E nel 2013 le testate potrebbero perdere anche 20 milioni, visto l’andazzo negativo dei primi mesi dell’anno.
È da sei mesi che quei giornali sono in vendita. Nessuno, però, finora, ha fatto una proposta interessante. Chi si è fatto avanti voleva rilevarli solo dopo una “dote” finanziaria di 15 milioni. Cosa succederà adesso ai periodici? Che ne sarà dei 115 giornalisti e degli altri dipendenti coinvolti? Le opzioni sono tre. O i periodici saranno venduti (ma, al momento non si è trovato ancora un acquirente convinto), oppure Rcs deciderà che costituiscono un asset fondamentale del gruppo, e quindi opterà per tenerli in vita, magari rivalutandoli. Oppure, ancora – terza opzione – saranno chiusi e basta, con tanto di “problemi” per i livelli occupazionali del corpo redazionale che l’Inpgi, difficilmente, potrà fronteggiare da sola.
Questi problemi irrisolti e altre faccende rimaste in sospeso saranno discussi nel cda del 28 aprile. In tale data si analizzeranno anche i conti del primo trimestre del 2013 (già previsti in negativo), saranno definiti i dettagli della ricapitalizzazione (soprattutto il prezzo delle azioni che si preannuncia più basso rispetto al valore di mercato) e si convocheranno le assemblee dei soci (previste per la fine di maggio). Le quali approveranno ufficialmente le operazioni della società. Dovrebbe essere un passaggio solo formale. In ogni caso sarà necessaria l’approvazione dei due terzi dei soci presenti.