Non solo Rcs, l’editoria italiana va verso la ristrutturazione

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Cairo si prende Rcs, Repubblica e La Stampa fondano un supergruppo, il Sole pensa a nuove strategie e gli scontri tra Fieg e Fnsi: l’editoria in Italia prepara grandi cambiamenti, serviranno per un rilancio?

Finisce un’epoca per Rcs, con gli Agnelli che hanno scommesso sulla fusione tra Repubblica e La Stampa (che dovrebbe essere formalizzata entro fine luglio) e con l’uscita di scena di Mediobanca. Inizia l’avventura di Urbano Cairo, editore puro alla guida di un colosso in cerca di riprendersi anche grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo. Si aprono nuovi scenari sia per quanto riguarda l’editoria cartacea e digitale, in ballo anche la riforma del settore al Senato, che per le televisioni. In poche parole, potremmo essere arrivati a una ristrutturazione generale dell’editoria in Italia.

La situazione attuale è tale che anche il Sole 24 Ore ha deciso di rinviare a settembre l’approvazione del consuntivo semestrale. Non è una notizia di poco conto per un gruppo che, benché ancora molto solido, sta provando a invertire la rotta dopo sei bilanci chiusi in passivo. Il nuovo amministratore delegato, Gabriele del Torchio sta lavorando a un nuovo piano strategico e per il momento ha prospettato un periodo lontano dalle aggregazioni che hanno caratterizzato i grandi gruppi editoriale in questi ultimi mesi.

Varie le ipotesi paventate per il futuro del Sole, ad esempio il possibile ingresso di investitori fuoriusciti da Rcs o lo studio di sinergie con editori vicini a Confindustria. Sul giornale degli industriali pesa la decisione di Ads (società che misura i dati delle vendite digitali) dello scorso mese di sospendere le copie digitali multiple dal conteggio. Questo provvedimento, dovuto a un contenzioso tra Condé Nast e Hearst, è costato 100.000 copie digitali al Sole. Novità da Ads sono attese entro l’autunno, mentre per il momento il gruppo presieduto da Giorgio Squinzi non ha voluto battere il terreno della rottura tra Caltagirone (editore del Messaggero, del Mattino e del Gazzettino, tra gli altri) e la Fieg.

La querelle tra l’editore romano e la federazione ha rappresentato un altro grande scossone per il settore. Una rottura strutturale, basata cioè su una riorganizzazione dei processi produttivi che ha causato un’esplosione di proteste dei poligrafici e la rottura dei rapporti tra il gruppo Caltagirone e la Fieg.

La stessa federazione presieduta da Maurizio Costa ha tentato senza successo di mettere un freno alla decisione di Caltagirone ed è ora alle prese con il rinnovo del contratto di lavoro nazionale giornalistico con la Fnsi. E se nel primo caso la Fieg è sembrata piuttosto morbida, nel secondo si procede da mesi in uno scontro a oltranza.

Nell’ambito di questa vicenda chi potrebbe rimetterci di più sono gli stessi giornalisti, così come tutti gli operatori dell’informazione. Ne danno un esempio abbastanza chiaro l’emergere dalle prime bozze le figura di collaboratore e corrispondente: in questo modo l’azienda può esternalizzare la parte della realizzazione dei contenuti e diminuire il numero dei dipendenti.

Anche per quanto riguarda le figure lavorative del web si attendono novità: il sindacato dei giornalisti punta a sindacalizzare e contrattualizzare i giornalisti online, gli editori fiutano l’occasione per abbassare i costi del lavoro con compensi per testate web inferiori rispetto a quelli delle redazioni tradizionali.

C’è a che un’altra ipotesi: trasformare i rapporti di lavoro da “articolo 1” a “articolo 2”. In questo modo i costi del lavoro calerebbero non poco, mentre le tutele dovrebbero restare. Nelle intenzioni quest’idea dovrebbe andare a vantaggio dei giornalisti over 50 e potrebbe consentire anche di riaprire i flussi d’ingresso alla professione a condizioni allineate col Jobs Act. Se a questo aggiungiamo anche che la stabilità dell’Inpgi è a rischio abbiamo chiaro il quadro della situazione. Un quadro in cui bisogna agire in fretta se si vuole davvero ristrutturare come si deve l’editoria italiana.

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