Rcs Mediagroup, negoziato con le banche creditrici da chiudere entro lunedì prossimo, data della prossima riunione dei soci del patto. Si spera di “strappare” agli istituti un buon accordo. E, quindi, di convincere i soci indecisi a partecipare all’aumento. Intanto Enrico Cucchiani, ad di Intesa Sanpaolo, apre nuove prospettive di governance: «È importante superare insieme questo momento delicato. Ma dopo la società dovrà trovare la sua strada. Le banche non dovrebbero più occuparsi di editoria». È il preludio ad una fine anticipata del patto di sindacato?
Ma facciamo un passo indietro e procediamo con ordine.
Rcs sta ritrattando con le banche creditrici la rinegoziazione del debito. Il direttore finanziario della società che edita il Corriere della sera e la Gazzetta dello Sport, Riccardo Taranto, insieme ai vertici del gruppo di via Rizzoli, sta “lavorando” con gli istituti esposti: l’obiettivo, come più volte ribadito negli ultimi giorni, è quello di rendere i termini della rifinanziamento del debito di 575 milioni di euro più conveniente per Rcs. Ovvero la società milanese vorrebbe diminuire la parte di rimborso immediato (quello da versare subito dopo la prima parte di ricapitalizzazione) da 225 a 150 milioni. Poi ci sono da limare i punti base dello spread sulle linee di credito: da 610 a 360. Infine Rcs, vista la indisponibilità di alcuni soci a ricapitalizzare, vorrebbe ridurre la prima parte di aumento da 400 a 380 milioni di euro.
Ora toccherà alle banche valutare un nuovo negoziato. Gli istituti dovranno decidere collegialmente. Non ci saranno accordi differenziati. Tuttavia è improbabile che verranno accolte tutte le richieste di Rcs. È più plausibile, all’opposto, una sorta di patto di compromesso. Ad esempio la quota di rimborso post-aumento potrebbe arrivare a 170 milioni (una via di mezzo tra i 225 iniziali e i 150 proposti da Rcs).
In ogni caso la società di via Rizzoli cercherà di raggiungere e siglare l’intesa entro lunedì 27 maggio. Il termine auspicato non è casuale. Infatti in tale data ci sarà la riunione dei soci del patto di sindacato (che vincola il 58,2% delle azioni ordinarie). E alcuni soci, tra cui Italmobiliare (7,4%), Sinpar (2%), Eridano Finanziaria (1,2%) non hanno ancora deciso se partecipare all’aumento di capitale. Senza dimenticare l’indeciso “più importante”, Giuseppe Rotelli, primo azionista fuori dal patto con il 16,6% dei diritti di voto. L’imprenditore milanese della sanità, con la sua cospicua “dote” di voti, potrebbe essere decisivo per il buon esito dell’aumento.
E non si sa nemmeno se “gli indecisi” voteranno o meno nell’assemblea decisiva del 30 maggio (va ricordato che le due decisioni non sono direttamente collegate. Ad esempio un socio potrebbe decidere di non partecipare all’aumento, ma approvare in assemblea l’operazione).
Magari, stante così le cose, un accordo più conveniente con le banche potrebbe anche convincere la “schiera” di indecisi a partecipare all’operazione. In effetti Rcs deve cercare di aumentare il più possibile la “massa critica” per la ricapitalizzazione. Si è ancora sotto il 50% delle adesioni. Infatti comprese le quote di azioni inoptate sottoscritte da Intesa Sanpaolo e Fiat si arriva ad un 49,3%. E, non arrivando alla soglia del 50%, potrebbero esserci dei rischi per la costituzione del consorzio di garanzia: un pool di banche che ha dato la disponibilità a investire 182 milioni nell’aumento di capitale di Rcs (ma a patto che i soci coprissero il 50% dell’operazione).
A proposito di consorzio, Enrico Cucchiani, ad di Intesa Sanpaolo, presente nel consorzio tramite Banca Imi, ha dichiarato che «la funzione di Intesa è molto importante per aiutare Rcs. È fondamentale affrontare e superare questo momento delicato. Ma dopo la ricapitalizzazione la società dovrà trovare la sua strada per la crescita e lo sviluppo. Le banche non dovrebbero più occuparsi di editoria». Ricordiamo che Intesa, oltre ad essere presente nel consorzio, è anche un socio pattista di Rcs con il 4,9% delle quote. Inoltre è anche il primo creditore del gruppo con una esposizione di 300 milioni.
Tuttavia le parole di Cucchiani potrebbero essere interpretate come un invito alla formazione di una nuova struttura dirigenziale. E ciò potrebbe voler dire lo scioglimento anticipato del patto di sindacato (ora anche senza presidente dopo le dimissioni di Giampiero Pesenti) per avviare una governance più snella. Magari con un editore puro di riferimento, affiancato da un partner finanziario. Ipotesi avvallata, qualche tempo fa, anche da Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca (socia pattista con il 13,7% delle quote e presente nel consorzio di garanzia).
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