Il giornalismo in Italia continua a vivere un processo di progressiva contrazione del lavoro dipendente, mentre cresce in parallelo il peso del lavoro autonomo. A mostrarlo sono i dati, relativi al 2014, dell’Inpgi e degli altri istituti di categoria raccolti dalla Lsdi in un report presentato nella sede romana della Federazione Nazionale Stampa Italiana. Proprio il 2014, si legge nell’introduzione della ricerca, è stato un altro anno di profondo malessere, un anno che ha visto acutizzarsi la crisi della professione e dei suoi organismi. Ma anche il ruolo di polarizzazione dei media tradizionali nel campo del lavoro subordinato si è ulteriormente indebolito.
I numeri non mentono e parlano di un grande calo: i rapporti di lavoro in quotidiani, periodici e Rai, che nel 2000 rappresentavano il 76% del lavoro giornalistico dipendente (11.767 su 15.476 complessivi), nel 2014 sono calati infatti al 59,5% (11.253 su 18.917). È invece cresciuto il peso di enti pubblici e privati e della pubblica amministrazione: 15 anni fa contavano l’ 8,1% dei rapporti di lavoro subordinato, ora ne rappresentano il 16,7%.
Il numero dei cronisti attivi (iscritti all’Inpgi) era di 50.488 su 105.634 iscritti all’Ordine dei giornalisti (esclusi stranieri ed elenco speciale), pari al 47,8%. Si tratta di una percentuale lievemente superiore al 47,1% registrato alla fine del 2013. L’andamento dei nuovi iscritti a Inpgi1 e Inpgi2 mostra però un progressivo declino: dai 3.247 nuovi iscritti del 2000 si è passati ai 2.305 nuovi iscritti del 2014, con un decremento del 29%. In particolare, dal 2008 in poi i nuovi iscritti all’Inpgi1 si sono più che dimezzati, passando da 1.379 a 604 (meno 56,2%), e quelli all’Inpgi2 sono calati solo del 4,7%.
Il 64,6% di tutti gli attivi nel 2014 era rappresentato da lavoratori autonomi, dato in costatnte aumento dal 2010. Addirittura si è passati da 4.788 iscritti del 1997 alle 40.534 posizioni all’Inpgi2 del 2014, con un incremento del 747%. Pur essendo sempre più diffuso, questo segmento dell’industria giornalistica presenta sempre una evidente fragilità, visto che sul piano della retribuzione ha prodotto zero redditi per oltre quattro giornalisti autonomi su dieci (16.830 su 40.534, il 41,5% degli iscritti all’Inpgi2).
Anche i 23.704 giornalisti con un reddito sopra lo zero non se la passano molto meglio: sette su 10 hanno dichiarato introiti inferiori o pari a 10.000 euro annui e, complessivamente, si è registrato un ulteriore calo della retribuzione media, scesa da 10.941 a 10.935 euro lordi annui. I redditi medi da lavoro autonomo nel 2014 si sono arrestati al 17,9% di quelli del lavoro dipendente, un numero 5,6 volte inferiore (6,9 volte per i co.co.co e 4,7 volte per i liberi professionisti).
4.888 giornalisti subordinati hanno avuto entrate sopra gli 80.000 euro annui ricavando 2,3 volte di più dei 23.704 autonomi con reddito superiore a zero messi insieme: circa 603 milioni di euro, contro 260 milioni. Complessivamente, spiega ancora il rapporto Lsdi, il monte salari degli iscritti all’Inpgi1 (17.575 posizioni) era di quasi un miliardo e 76 milioni di euro, contro i 260 milioni degli autonomi (23.704) con reddito superiore a zero.
Nonostante l’aumento degli iscritti all’Inpgi1 (+0,7%) i rapporti di lavoro dipendente e le posizioni attive, cioè di giornalisti che possono avere più rapporti di lavoro, diminuiscono a un ritmo molto veloce, rispettivamente del 4,7% e del 3,7%. “Si tratta di un dato molto severo”, dichiara il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese nella sua relazione al Bilancio consuntivo 2014, “che trascina una ulteriore diminuzione contributiva e dimostra che la fase recessiva del settore non può dirsi affatto conclusa”. Il presidente dell’Inpgi aggiunge poi che “certamente una parte della passività deriva da processi di crisi incardinati negli anni precedenti, ma pensare che l’inversione del ciclo economico, di cui si intravedono i primi effetti, possa rappresentare la cura di tutti i mali sarebbe miope”.
C’è solo un dato positivo, secondo Camporese: le 250 nuove assunzioni registrate nel corso del 2014 sulla base degli sgravi contributivi disposti quattro anni fa proprio dall’Istituto. Queste misure hanno portato complessivamente all’assunzione di 574 giornalisti, ma si tratta solo di un quarto rispetto al numero dei posti di lavoro persi complessivamente nel quadriennio, pari a 2.352 unità (da 21.269 del 2010 a 18.917 del 2014, e cioè -11,1%).
Calano le entrate contributive, così come cala inevitabilmente il rapporto tra gli iscritti attivi ed i pensionati. “Il 2014 è stato il sesto anno consecutivo di crisi” spiega ancora Camporese, aggiungendo che “i fondamentali non funzionano più”. La crisi è confermata poi anche dal forte aumento della spesa dell’Inpgi per ammortizzatori sociali, che è aumentata dell’8% rispetto al 2013, mentre diminuiscono le spese per i trattamenti di disoccupazione e aumenta la spesa per i contratti di solidarietà.
Il panorama viene aggravato anche dall’andamento della Casagit (la Cassa sanitaria integrativa) che vede i soci contrattualizzati calare in maniera sempre più drammatica. Questo calo continuo, come ha spiegato Daniele Cerrato nella sua relazione al Bilancio 2014 della Cassa, mette in luce in maniera molto chiara che “oggi la stragrande maggioranza di chi esce dalla vita lavorativa non si collega alla pensione. Nel 2014 i pensionati iscritti alla Casagit sono aumentati, complessivamente, di sole 86 unità; perdiamo invece 700 contrattualizzati ( di cui 500 professionisti) rispetto al 2013”. E il rapporto pensionati/soci è passato dal 23,8% del 2009 al 31,1% del 2014.
Il nuovo contratto di lavoro potrebbe giocare un ruolo importante in questa situazione. Ne è convinto Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi: “Un contratto che deve puntare sulla ripresa dell’occupazione, costruendo percorsi di inclusione dei troppi giornalisti precari che vengono quotidianamente sfruttati e ampliando il ventaglio di tutele, garanzie e welfare per gli autonomi. Soltanto la ripresa del mercato del lavoro può assicurare un futuro ai giornalisti italiani, tutelando i diritti acquisiti e la sopravvivenza degli enti della categoria”.
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