Che la libertà di espressione su Internet fosse a rischio, o quantomeno condizionata, lo si era capito da un po’; perlomeno da quando, grazie alle rivelazioni del leaker Edward Snowden sulla sorveglianza telematica della Nsa, si aveva avuta la chiara percezione di quanto fitte fossero le maglie della cyber sorveglianza a livello globale. Perciò da un lato non sorprende più di tanto scoprire, nell’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione non governativa Freedom House, che il 2013 è stato un annus horribilis per quanto riguarda la censura digitale. In 35 delle 60 nazioni esaminate, la situazione è peggiorata e ai metodi di censura tradizionale, si sono affiancati provvedimenti mirati. “Mentre blocco e filtro dei contenuti restano i metodi preferiti di censura in molte nazioni – scrive Sanja Kelly, direttrice del progetto Freedom Net – i governi osservano in misura sempre maggiore chi sta dicendo cosa online e trovano un modo per punirli. “In alcuni Paesi – prosegue la direttrice – un utente può essere arrestato anche solo per aver postato su Facebook o per il “like” a un commento critico della autorità scritto da un amico”. In altri casi basta gestire un blog sull’inquinamento o twittare a proposito di un parcheggio selvaggio da parte del sindaco, per trovarsi la polizia alla porta. A parte luoghi e regimi di cui è ben nota l’attitudine repressiva, come Iran, Cuba, Cina, Siria, Arabia Saudita, il clima è sempre più ostile in Vietnam, Etiopia, Pakistan, Venezuela, Bahrain. Nei primi due, l’etichetta di paese “non libero” assegnata da Freedom House, è motivata da nuove leggi varate per impedire la libera espressione, da un crescente numero di arresti, da sentenze di detenzione assai severe per blogger colpevoli di postare articoli critici delle autorità. Per quanto riguarda il Pakistan il giudizio è causato dal blocco di migliaia di siti Web a un’accresciuta violenza nei confronti degli utilizzatori di nuove tecnologie (blogger, attivisti). In Venezuela, la situazione è degenerata con un sensibile aumento della censura nel corso di eventi particolarmente sensibili dal punto di vista politico: la morte dell’ex presidente Chavez e le elezioni presidenziali che l’hanno seguita. Anche quelle che siamo soliti definire “democrazie” non sono immuni dal virus della repressione. Il minore punteggio ottenuto dagli Stati Uniti, quanto a libertà di espressione si spiega naturalmente con quanto emerso a proposito della sorvegliaza operata dai servizi di intelligence di cui, (per quanto il rapporto di Freedom House riguardi il periodo compreso fra maggio 2012 e aprile 2013, e le rivelazioni di Snowden siano successive) è stato tenuto parzialmente conto. Sarebbe interessante capire se, a seguito degli ultimi sviluppi del Datagate, la Ngo rivedrebbe ulteriormente il proprio rating, secondo cui gli Stati Uniti figurano comunque come un paese libero, dal punto di vista digitale. Il deterioramento peggiore, fra le democrazie, F.H. lo riscontra in India dove, negli ultimi dodici mesi, si sono moltiplicate le interruzioni dell’accesso a Internet per contenere le proteste e sono state aperte diverse azioni legali contro utenti colpevoli di aver postato le proprie opinioni sui social media. Anche il Brasile è un osservato speciale: preoccupano soprattutto le violenze subite da alcuni giornalisti online. Dal rapporto emerge comunque anche qualche segnale positivo: Tunisia, Marocco e Birmania continuano a migliorare; a seguito della ventata di libertà portata dalla Primavera Araba nei primi due casi, sulla scia del processo di democratizzazione in corso nel caso della terza. E l’Italia? Per una volta figura nella parte alta di una classifica, fra le nazioni “libere”. I punti critici segnalati da Freedom House sono più o meno i soliti: le difficoltà tecniche nell’accesso alla Rete determinate da una diffusione nella banda larga inferiore a quanto avvenga in altri Paesi, i tentativi di far passare provvedimenti di legge che avrebbero reso la vita molto difficile o quasi impossibile ai blogger, la concentrazione di un potere mediatico inusitato (per una democrazia) nelle mani di una persona, l’ex premier Silvio Berlusconi, che è al contempo leader di una formazione politica – cosa che secondo la Ong si rifletterebbe anche sull’indipendenza delle news pubblicate online. Nel mirino di Freedom House anche la discussa proposta di regolamento Agcom sul copyright.
Fonte : lastampa.it