RAPPORTO AIE. EDITORIA IN CRISI, CALANO LE VENDITE MA AUMENTANO I TITOLI

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Per la prima volta dal 2007 diminuiscono i lettori italiani: solo il 45% legge un libro l’anno, 723 mila meno del 2010. E’ il dato più rilevante che emerge dall’annuale rapporto sull’editoria dell’Aie (Associazione Italiana Editori) presentato nei giorni scorsi alla Buchmesse di Francoforte (il più importante appuntamento per lo scambio dei diritti del settore editoriale librario). Ma forse ancora più importante è che tutti i dati relativi al fatturato e agli introiti del settore presentino per la prima volta solo segni negativi: la vendita di libri, che nel 2011 ha registrato un -3,7% nel giro d’affari (secondo i dati Nielsen, canali trade), nei primi nove mesi del 2012 peggiora ulteriormente e ottiene un -8,7%. Inoltre gli acquisti si sono spostati verso le grandi librerie online, che spesso offrono agli utenti sconti vantaggiosi. L’unico sviluppo positivo del mercato è rappresentato dalla vendita degli e-book che acquistano il 740% sul 2010, ma si tratta di una porzione di mercato ancora irrisoria, lo 0,38%.

Alcuni hanno addebitato queste cifre alla legge Levi entrata in vigore lo scorso anno per volontà degli editori indipendenti, che regola il prezzo del libro e fissa un tetto per gli sconti limitando le promozioni e le offerte selvagge, ma la crisi precede in parte la legge (che poi è stata più volte aggirata in vari modo). Ed esistono diverse collane di libri a prezzo assai competitivo, non necessariamente classici. Sicuramente la crisi globale che stiamo vivendo influisce, il libro è considerato un bene non necessario, ma ci sono dati e segnali che fanno pensare che forse le cause sono anche altrove e che la strada intrapresa negli ultimi anni dagli editori italiani non sia proprio quella giusta.
Sempre in base al rapporto dell’Aie, si evince che nel 2011 le case editrici attive (si intendono quelle con una produzione di almeno 11 titoli all’anno) erano 2.205 e sono diventate 2.225 nel 2012, mentre le case editrici con titoli in commercio sono passate da 7.590 a 8.440; ma soprattutto i titoli pubblicati (fonte IE-Informazioni editoriali) hanno avuto un incremento del 4,5% passando da 63.800 a 64.910. Dunque in un momento di crisi e di sostanziale ristagno dei mercati, il settore editoriale perde in introiti ma aumenta la produzione, già eccessiva se si pensa che nel 2007 si era arrivati a una media di 107 libri al giorno e la produzione era ferma a 55000 titoli. Il nostro sistema editoriale è dominato dai best-seller: due o tre libri, spesso di dubbia qualità, che da soli sono in grado di influire sull’andamento del mercato. E se questo potrebbe legittimare a sostenere che il lettore, i quale decide cosa acquistare, si merita i testi che legge e sceglie di leggere, orientandosi costantemente verso i libri di cui tutti parlano, è anche vero che non abbiamo la prova del nove: non sappiamo quale sarebbe il comportamento del lettore davanti a una vera offerta che sostenga e tuteli la bibliodiversità.

E’ invece l’occupazione sistematica degli spazi in libreria – praticata da Newton Compton, Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Longanesi, Rizzoli – la strategia commerciale dominante. Intorno ci sono piccoli editori con progetti validi che devono rinunciare per manifesta inferiorità commerciale e si stanno dibattendo come in procinto di soffocare. E poi ci sono piccoli editori che non investono sui loro autori e propongono contratti capestro al limite dell’editoria pagamento, in cui tutto il peso della pubblicazione è sopportato dall’autore che in pratica non percepisce i diritti che gli spettano se non a partire dalla vendita di un certo numero di copie, di solito illusorio. Servono delle regole che impediscano a grossi trust di viziare la domanda e presidiare l’offerta: la Legge Levi, che pure è stato un passo avanti, è un palliativo, è permissiva, facilmente aggirabile. E altrettanto centrale è la scuola, che sembra incapace al momento di preparare lettori accorti e appassionati e di sensibilizzare verso la cultura.

Pubblicare meno, pubblicare meglio sarebbe l’ideale, insieme alla predisposizione di politiche di sostegno alla lettura. Ma non basta.

Ci vuole senso di responsabilità e un ritorno a una parola ormai bandita dai manager che si improvvisano editori o direttori editoriali: passione, per i libri e per la lettura.

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