RAI: TRAVAGLIO SPONSORIZZA SANTORO E FRECCERO

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Passano i mesi e non si vede uno “straccio” di riforma. Monti temporeggia. Il cda è scaduto e non si sa ancora chi e come governerà la Rai.
Che sia la professionalità a decidere i prossimi dirigenti della tv pubblica. Santoro e Freccero potrebbero consegnare il loro curriculum. «Vedremo se il governo e i partiti troveranno di meglio. Se sceglieranno qualcun altro, sapremo che anche sulla Rai il governo Monti è come tutti gli altri». Lo scrive Marco Travaglio su Il Fatto quotidiano. Il giornale si è spesso espresso sulle faccende di Viale Mazzini. Oggi è una delle sue maggiori firme che prende la parola, anzi la penna.
Travaglio sottolinea il ritardo enorme, orami accumulato da Monti, per la riforma della Rai. Il premier ha promesso che si sarebbe occupato della ristrutturazione della tv di Stato. E lo ha fatto in diretta tv l’8 gennaio, più di 4 mesi fa. Monti, intervistato da Fabio Fazio a Il tempo che fa, parlò di qualche settimana. Forse ha confidato nella scarsa memoria degli italiani, sempre attenti al qui ed ora e “geneticamente” impreparati a ricordare. Fatto sta che la riforma della Rai non è nemmeno iniziata. Inoltre non si sa ancora cosa farsene della tv pubblica.
Tuttavia con dei semplici ragionamenti si possono tracciare delle linee giuda e fare il punto della situazione. Il commissariamento non è praticabile. Tale eventualità è possibile solo se un’azienda pubblica ha un bilancio in perdita per 3 anni di seguito. La Rai, nel 2011, ha chiuso con un attivo di 4,1 milioni di euro. Si tratterebbe di un attivo formale. Un recente articolo de Il Fatto ha sottolineato il “bifrontismo contabile” della Rai: da un lato un bilancio in attivo, dall’altro debiti con le banche e un futuro incerto, soprattutto per quanto riguarda il ritorno degli investimenti già fatti.
Cambiare la Gasparri è impossibile, inoltre sarebbe troppo tardi. I tempi per cambiare una legge sono fisiologicamente alti nel Parlamento italiano (ma se mai si inzia!). Inoltre il Pdl ha alzato un muro. Anche se Monti usasse lo strumento del decreto sarebbe quasi impossibile riuscire a scardinare la legge che determina l’attuale sistema di governance. Bisogna ricordare che la maggioranza presente attualmente in Parlamento è la stessa che nel 2003 ha votato la Gasparri.
Dunque, secondo Travaglio, se fossero costretti a cambiarla, «sarebbero persino capaci di peggiorarla».
Ultima opzione, quella che molto probabilmente si verificherà, è la proroga. Ma attenzione. Nel caso del cda di Viale Mazzini potrebbe trattarsi di una proroga di fatto, quasi fisiologica. Non è necessario stabilire ufficialmente che l’attuale governance deve rimanere in carica. Monti può risparmiarsi la fatica di convocare i segretari dei partiti. L’approvazione del bilancio richiede dei tempi tecnici che faranno scivolare l’attuale cda verso maggio proprio quando ci saranno le elezioni amministrative. E intanto, è sempre bene ricordarlo, l’attuale Consiglio è irregolare. Rizzo nervo si è da tempo dimesso e non è stato ancora rimpiazzato.
È probabile che il governo attenda il termine delle votazioni sperando che i partiti “smussino gli angoli” delle loro idee. Attualmente il Pdl “pretende” la conservazione della Gasparri. Il partito di via dell’Umiltà godrebbe anche del silente appoggio della Lega. Bersani ha più volte affermato che con tale meccanismo di nomine il Pd non parteciperà alle votazioni. Si oppongono alla Gasparri anche l’Idv e l’intero Terzo Polo. Muro contro muro. Veto contro veto. Se i partiti non si verranno incontro sarà difficile realizzare qualcosa.
Monti ha provato, forse debolmente, a sbrogliare la situazione. Ecco qualche idea del premier: un cda di soli 5 membri, un dg con ampi poteri, consiglieri tecnici avulsi dalla politica. Nulla di fatto.
Uno spiraglio poteva aprirsi con una sorta di “baratto”: frequenze in cambio del servizio pubblico. Pare che Berlusconi e company avrebbero ceduto qualcosa a Viale Mazzini, lasciando fare i democratici e il governo in cambio del ripristino del buon vecchio “beauty contest”. D’altronde nessuno regale niente.
Ritornando a Travaglio, il giornalista ricorda che nel 2006 ci fu una sorta di petizione popolare che raccolse 50 mila firme. Il centrosinistra, allora al governo, ignorò l’iniziativa.
Questa proposta è stata di recente rispolverata in un convegno dell’Idv. Bene, il progetto si basa su 5 principi, volti a liberare la Rai dai partiti. Primo: la proprietà deve passare dal governo ad una fondazione di diritto privato. Secondo: costituzione di un Consiglio nazionale della comunicazione. Tale organo, oltre ad essere avulso dalla politica, deve essere eletto da un mix di utenti, associazioni, autori, e solo in parte dal Parlamento. Terzo: il suddetto Consiglio nomina un cda di 5 membri, indipendenti dalla politica, in base alla professionalità e ai curricula. Quarto: è sempre il Consiglio a nominare l’Agcom secondo gli stessi criteri di competenza e indipendenza. Quinto: trasparenza totale delle scelte e possibilità per i cittadini di controllare, tramite internet, il lavoro dei suddetti organi.
Proposte, proposte, idee, chiacchiere. A quando i fatti?
Male che va, con buona pace dei loro detrattori, potremo sempre contare su Freccero presidente e Santoro dg.
Egidio Negri

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