Abbiamo scherzato. Tutto come prima. Schifani e Passera mettono fine ai sogni di riforma: non c’è tempo per cambiare la Gasparri. Di Pietro non ci sta e promette di scendere in piazza. Giulietti: «Monti fai Monti!».
Una proroga sarebbe come una sconfitta. Meglio un nuovo cda che sia autonomo, indipendente e professionale. Lo ha affermato ieri Renato Schifani. Il presidente del Senato ha rispolverato un concetto tanto caro al Pdl: la Rai è competenza del Parlamento e non del Governo. «Abbiamo un orientamento consolidato della Corte costituzionale, delle sentenze che delegano il Parlamento come organo di indirizzo e controllo, organo rappresentativo della comunità», ha spiegato Schifani che comunque spera che i politici designino personalità adeguate all’arduo compito: risollevare la tv pubblica.
Il presidente del Senato sarebbe favorevole anche ad un “ritocchino” della Gasparri con una riduzione del Cda che lo renderebbe più snello, più fluido e meno politicizzato. Per Schifani non c’è tempo per cambiare la Gasparri, «Monti dovrebbe fare un decreto legge, ma non credo vi siano i presupposti, tocca però al presidente della Repubblica, eventualmente, dirlo».
Sulla stessa lunghezza d’onda c’è Passera. Il ministro dello Sviluppo, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, afferma che «alle nomine del nuovo consiglio della Rai, tra un mese, si arriverà per definizione con l’attuale governance. Dopodiché sarà il presidente del Consiglio a decidere, «non ci sono né i tempi, né i modi» per cambiare i criteri di nomina dei vertici secondo la legge Gasparri».
Il Pd si sta stracciando le vesti. I peggiori auspici di Bersani si stanno avverando. Stando alle dichiarazioni del leader dei democratici il Pd non parteciperà al nuovo consiglio se rimarrà in vigore la Gasparri.
Il Pdl dovrebbe gongolare. Il partito di via dell’Umiltà sembra avere in mano la situazione.
Proprio contro l’ostruzionismo dei pidiellini che si scaglia Di Pietro.
Per il leader dell’Idv il Governo sta cedendo al «ricatto avanzato da Berlusconi su temi che sono alla base della democrazia: giustizia, frequenze tv e Rai». L’ex magistrato chiarisce la sua posizione sul suo blog. La disamina è chiara e spietata. «Sono convinto che sia proprio questa partita la cartina di tornasole della credibilità di questo esecutivo. Per il Governo è arrivato il momento di dimostrare di essere realmente libero, mettendo mano ad una riforma che ridia ruolo e dignità al servizio pubblico. Bisogna rivedere le regole dell’azienda per rispondere al dettato costituzionale. In uno Stato democratico l’informazione deve essere libera e plurale, in modo da consentire ai cittadini di formarsi un’opinione. Purtroppo, oggi la Rai continua ad essere ostaggio degli appetiti dei partiti, è stata deturpata nel suo ruolo primario, è stata resa debole e poco concorrenziale. Tanto poco concorrenziale che i suoi bilanci fanno acqua da tutte le parti. Tutti i burattini messi ai vertici dell’azienda da Berlusconi hanno defenestrato giornalisti dalla schiena dritta, chiuso programmi di grande ascolto e accantonato coloro che non si sono piegati ai diktat del padrone della concorrente Mediaset. Insomma, prima del 28 marzo la situazione va affrontata senza tentennamenti. L’Italia dei Valori, che non ha mai voluto poltrone né accettato quest’ignobile lottizzazione, si batterà per il varo immediato di una nuova riforma che modifichi radicalmente la legge Gasparri. Non vogliamo alcuna proroga del cda, ma fino a quando non ci sarà una riforma degna di essere emanata, chiediamo che sia nominato un commissario unico, indipendente e che abbia i requisiti e le competenze. E, soprattutto, che questi non venga espresso dai partiti, da quelle forze che hanno portato sul lastrico un bene pubblico come la Rai. Non c’è tempo da perdere, mancano 16 giorni all’alba».
Di Pietro non si ferma alle dichiarazioni al vetriolo, ma ha già agito concretamente presentando un’interrogazione parlamentare. Inoltre il leader dell’Idv ha promesso di essere in piazza il 28 marzo «in segno di protesta con tutti quei giornalisti, associazioni e cittadini che chiedono una svolta e vogliono che la Rai venga restituita ai legittimi proprietari».
Anche il portavoce di Articolo 21 ed esponente del Pd, Bebbe Giulietti, non ci sta. La sua dichiarazione è all’imperativo: «Monti fai Monti!». Il democratico non nasconde un certo sdegno sottolineando la “virata” del premier: «lei la pensa così? Questa sarebbe la riforma di “segno europeo”? Come mai il ripensamento arriva dopo i colloqui con Confalonieri e il finto sdegno di Alfano che ha disertato il vertice con Lei, Bersani e Casini»? Per Giulietti il premier deve porre fine «controllo diretto della Rai da parte dei governi e dei partiti e di farlo senza concedere proroga alcuna agli attuali vertici».
Insomma, cercando di tirare le somme, più passa il tempo più la situazione si complica. Magari fra un po’, a furia di dire che non c’è tempo per una riforma, finiremo per constatare che non è troppo tardi per salvare la Rai.
Certo è che con queste premesse la sola “riforma” possibile sarebbe quella di ridurre il numero dei consiglieri da 9 a 5. Con meno membri la nomina del consigliere del Tesoro e la designazione del presidente, che comunque deve avere il beneplacito dei due terzi della Vigilanza (eventualità non scontata, visto l’ostruzionismo del Pdl) avrebbero un peso maggiore. Tuttavia non cambierebbe il concetto di fondo: il legame della Rai con Governo e partiti.
Chissà cosa sta pensando in Europa? Forse ridono, magari hanno “pietà”, o semplicemente non stanno capendo nulla?
Egidio Negri
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