Fedele alla linea della «non ingerenza e non interferenza», Matteo Renzi si mantiene distante dalla Rai e dalle beghe interne a viale Mazzini. Ma dopo la proclamazione di uno sciopero che ha definito «umiliante», il premier ha affidato a una task force composta dal viceministro Antonello Giacomelli, dal sottosegretario all’Editoria Luca Lotti e dai deputati Paolo Gentiloni e Michele Anzaldi, il compito di stilare il piano d’azione per «rendere la tv pubblica moderna, competitiva e libera dai partiti». Il gruppo di lavoro è partito dal ”manifesto” vergato da Renzi tre anni fa insieme al dirigente Rai Luigi De Siervo. Un pamphlet che l’allora sindaco di Firenze illustrò con queste parole: «Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali 8 hanno una valenza pubblica. Questi vanno finanziati attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai1 e Rai2, devono essere finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private». Traduzione: Rai3 finanziata con il canone e la sola tv generalista pubblica, Rai1 e Rai2 sul mercato ma non necessariamente privatizzate. «Di questi tempi sarebbe praticamente impossibile trovare un compratore», dice uno dei componenti della task force. Le linee guida sono già cinque. La prima è il «superamento della tripartizione Rai1, Rai2, Rai3 ereditata dal patto politico tra Dc, Pci e Psi del 1975 e ormai del tutto anacronistica». La seconda è la definizione del perimetro aziendale: «Servono ancora 15 canali, di cui tre generalisti?», si chiede la task force, già convinta che la risposta debba essere un gigantesco “no”: «Nessuna tv pubblica al mondo ha un numero così elevato di canali». La terza linea guida è mettere a fuoco il numero “necessario” di edizione dei tiggì.