Sarebbero più di 2000 le “false” partite Iva. L’esercito degli atipici potrebbe ricorrere in Tribunale. E la riforma Fornero potrebbe aggravare la situazione. Lo ha spiegato Paolo Conti sul Corriere della Sera.
Il documento è già nelle mani dei neoconsiglieri Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Proprio lei che, fino a poco fa, apparteneva alla categoria degli «esterni Rai» per via della trasmissione radiofonica mattutina «Caterpillar Am» su Radiodue. E probabilmente il testo arriverà presto sul tavolo della presidente Anna Maria Tarantola e del direttore generale Luigi Gubitosi. Il popolo dei duemila e più atipici-parasubordinati di Viale Mazzini è in subbuglio. La riforma Fornero rischia di far saltare delicati equilibri (cioè posti di lavoro e compensi) in quella fascia contrattualmente debolissima di forza-lavoro esterna alla Rai che, secondo i calcoli di «Iva party» (una delle associazioni di base) costituisce da un terzo alla metà di tutto il personale di redazione dei programmi d’intrattenimento e di approfondimento giornalistico, ad esclusione delle testate. Per fare un esempio citato nella memoria affidata ai nuovi vertici Rai, in una redazione come Ballarò di Raitre lavorano venticinque persone. Di queste undici sono esterni a partita Iva: cinque redattori, quattro inviati e due autori.
Il punto è semplice e riguarda, appunto, il nutrito «popolo delle partite Iva»: registi, autori di testi, esperti, presentatori, conduttori. In massima parte composta da trenta-quarantenni. Laureati, quasi sempre titolari di conoscenze professionali molto specifiche e innovative. Comunque precarissimi. La riforma Fornero, in estrema sintesi, dichiara «falsa» quella partita Iva che superi gli otto mesi di contrattò presso lo stesso imprenditore, che attribuisca al lavoratore una postazione fissa (tavolo, telefono, obblighi di orario) e che registri l’80% del proprio reddito dalla stessa azienda. Se si verificano due di queste eventualità, il lavoratore ha diritto all’assunzione. Nella realtà dei fatti, molte redazioni Rai assicurano da anni contratti anche di dieci mesi lasciando solo una pausa estiva. A Viale Mazzini, tra l’ufficio legale e quello dei contratti, c’è agitazione. La tv pubblica non può reggere un’ondata di cause di lavoro, il catastrofico bilancio non lo permette tecnicamente.
Ma è difficile immaginare soluzioni alternative se non a danno proprio delle «partite Iva»: per esempio riducendo a sei mesi la durata dei contratti, quindi raddoppiando numericamente gli ingressi di lavoratori ma amputando inevitabilmente i compensi di chi, magari, lavora da anni nella stessa redazione o nella stessa trasmissione. Una prospettiva amarissima per una fascia sociale già fragile ed esposta a mille variabili. Si legge nella nota di «Iva party»: «Cosa succederà a settembre? Saremo richiamati in azienda? E con quali condizioni? Abbiamo già brutti segnali. Il rischio è che il prezioso vivaio di passioni e competenze che si è creato soprattutto in questo ultimi quindici anni venga falciato da tagli e da condizioni di lavoro ulteriormente demotivanti. Alcuni “atipici” hanno acquisito, loro malgrado, i presupposti per un’azione legale contro l’azienda che vedrebbe in tal modo un’ondata di contenziosi molto dispendiosa».
Gli «atipici Rai» avevano già scritto a Mario Monti il 15 giugno scorso: «Dobbiamo notare, con profondo rincrescimento, che la riforma Fornero del mercato del lavoro non ci assicura nessuna risposta. Invece di ridurre le forme di sfruttamento e di precarietà, essa fornisce più efficaci strumenti di sfruttamento. Cioè lavoreremo di meno, con compensi più bassi e la partita Iva sarà paradossalmente diffusa a tutti… Sono le nostre condizioni di lavoro a mettere sempre più a rischio la qualità e la libertà del servizio pubblico… Ma la Rai siamo noi, molto più di chi per decenni l’ha lottizzata e ne ha abusato vergognosamente». Le condizioni contrattuali, stando all’appunto degli «atipici», appaiono difficili: chi si muove dalla sede per lavoro non ha diritto al «foglio di viaggio» dei «veri» dipendenti ma deve anticipare di tasca propria le spese e poi riceve un rimborso «che dal punto di vista fiscale è trattato come introito». I tempi di pagamento dei compensi slittano anche di due o più mesi. La questione delle aliquote previdenziali viene definita «kafkiana». Non esiste alcun sussidio di disoccupazione nella pausa tra un contratto e l’altro.
Fin qui il documento. A settembre, c’è da giurarlo, ci sarà gran consulto tra Fornero, Tarantola e Gubitosi. Per evitare che la bomba dei Duemila possa esplodere a Viale Mazzini, mettendo in difficoltà molte trasmissioni. E in serio pericolo duemila contratti di lavoro.
Si sono espressi anche Bebbe Giulietti e Vincenzo Vita, dell’associazione Articolo 21. Non si può certo chiedere al nuovo gruppo dirigente di risolvere con la bacchetta magica questioni che si trascinano da tempo, ma non si può fingere di non sapere che gran parte di questi precari lavorano da anni, e, in moltissimi casi, sono stati e sono addirittura la spina dorsale dei più importanti programmi della radio e della tv.
Senza il loro apporto ci sarebbe davvero un tracollo ideativo e produttivo.
Per questo occorre ormai pensare ad un piano straordinario contrattato con le parti sociali, che tenga conto della specificità della Rai e dell’intero settore delle comunicazioni che, non a caso, anche in sede europea, gode di particolari forme di riconoscimento giuridico e legislativo.
A nulla, invece, servirebbe il ricorso al braccio di ferro, perché qualsiasi tribunale, a prescindere dal” colore delle toghe”, per usare una infelice espressione di questi giorni, non potrà che riconoscere le ragioni di chi per anni ha contribuito a mandare in onda programmi e trasmissioni che sono state amate da milioni di italiani.
Piuttosto che liberarsi di questi lavoratori, spesso sottopagati,sarà forse il caso di cominciare a liberarsi di collaboratori, consulenti ed appalti che non rispondono ad alcuna logica produttiva ed industriale.
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