Campa cavallo morente della Rai che l’erba cresce, forse. Riforma Rai: nulla di fatto.
Il nuovo cda sarà nominato con la legge Gasparri. Potrebbero influire le elezioni della nuova Agcom e l’asta delle frequenze.
Il governo si è arreso. Non cambierà il meccanismo di nomine, anche se, a parole, «è seriamente intenzionato ad aprire un dialogo col Parlamento al fine di giungere in tempi rapidi a una riforma della governance della Rai», ha dichiarato Giarda.
Non bisogna stupirsi. Lo si sapeva già. «Aspettate qualche settimana e vedrete», disse Monti a Fazio in diretta tv. La speranza è durata poco. Il governo non ha avuto la forza, e forse la voglia, di cambiare la governance. Certo, non sarebbe stato semplice superare l’ostruzionismo del Pdl. «La Rai è competenza del Parlamento. Il governo si occupi di altro», affermavano i pidiellini da Alfano in giù. Ricordiamo che il partito di via dell’Umiltà, essendo l’ex maggioranza in Parlamento, gode di una preponderanza anche nel cda Rai. Tuttavia si poteva tentare un decreto, fare un atto di forza. Si è preferito aspettare.
L’ufficialità della conferma della Gasparri è arrivata ieri dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda.
Il ministro ha risposto ad una interrogazione dell’Idv (il partito di Di Pietro preme da mesi per una riforma che liberi la Rai dai partiti) affermando che il prossimo Consiglio sarà eletto con la vecchia legge Gasparri. «In considerazione dell’imminente scadenza del cda non è possibile intervenire con una modifica legislativa», ha dichiarato Giarda.
Certo che non c’è più tempo. Bisognava agire prima. Tra qualche giorno ci sarà l’assemblea dei soci che approverà il bilancio. Massimo l’8 maggio l’attuale governance scadrà, almeno formalmente. Poi la Commissione Vigilanza dovrà iniziare i lavori.
Cosa accadrà? Semplice: dei 9 consiglieri, 7 saranno eletti dalla Vigilanza, e quindi dai partiti; 2 dal governo. L’esecutivo nominerà un rappresentante del Tesoro e designerà il presidente il quale, però, dovrà avere il beneplacito dei due terzi della Vigilanza. Il dg sarà eletto a cda già formato. Il governo può solo proporre la candidatura del direttore generale.
Giarda ha affermato che le scelte dovranno essere sostanziate dalla competenza. Dunque sia le 2 nomine del governo che quelle della Vigilanza dovranno essere corredate dai curricula.
Non finisce qui. Giarda durante la sua esposizione ha affermato che le 2 nomine del governo avverranno dopo quelle della Vigilanza. Un segno di debolezza? Chissà.
E il Pd? I peggiori auspici dei democratici si sono avverati. Tuttavia l’idea di Bersani e company non è cambiata. «Non votiamo il Consiglio. Hanno inabissato la riforma e ora ci dicono che non c’è più tempo»; tuttavia «noi riteniamo che una soluzione si possa ancora trovare. L’azionista deve scegliere se continuare con la lottizzazione o accelerare un percorso di coraggiosa riforma. In questo passaggio misureremo davvero chi vuole tagliare il cordone ombelicale tra l’azienda e la politica», ha dichiarato Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione del Pd.
Se i democratici non parteciperanno alle nomine cosa succederà? La consuetudine vuole che si asterranno anche gli altri. Dunque sarà proroga dell’attuale cda, con tanto di Lorenza Lei come dg.
E il posto vacante lasciato da Rizzo Nervo? Dopo le dimissioni del consigliere Pd non è stato eletto un suo sostituto. Un cda con un membro in meno dovrebbe essere irregolare!
Comunque alla fine della fiera il Pdl ne esce “vincente”. Con o senza proroga, la Gasparri dà la possibilità ai pidiellini di far valere la loro maggioranza parlamentare. Era quello che voleva il partito di Alfano: andare alle elezioni del 2013 con una cda Rai quanto più “azzurro” possibile.
Comunque le complicate vicende della tv pubblica si intersecheranno con le nomine dei vertici dell’Agcom. Anche l’Autorità scade tra pochi giorni e la decisione dei suoi vertici non è di poco conto.
E poi c’è l’asta per le frequenze. È orami assodato l’annullamento del beauty contest. Le “porzioni di spettro” non saranno più regalate. I maligni hanno ipotizzato che Berlusconi potesse sorvolare su qualche nomina indigesta in Rai in cambio di qualche concessione sul piano frequenze.
E poi c’è il tetto per la raccolta pubblicitaria della Rai. Il limite potrebbe essere abbassato per legittimare il canone e aumentare lo spirito pubblico dell’azienda. Ecco che gli spot potrebbero virare verso le reti del Biscione.
Per ora sono solo tutte illazioni. Vedremo, intanto campa cavallo…
Egidio Negri