Il giorno dei giorni è passato ma l’eco delle reazioni alla frattura in Rai sulla giornata di sciopero indetta dall’Usigrai non accenna a placarsi. Lo scontro è al calor bianco, le tensioni, già pane quotidiano a viale Mazzini, non scemano e, anzi, hanno trovato di che rialimentarsi. Già, perché lo sciopero Usigrai, forse per la prima volta, ha incocciato contro l’opposizione (interna) dei giornalisti di Unirai che, con largo anticipo, avevano annunciato la loro intenzione di non astenersi dal lavoro. “Unirai è voce libera e indipendente di giornalisti che non si fanno piegare dalle pressioni o dagli insulti di chi è stato abituato ad occupare la Rai. Le centinaia di colleghi che saranno sul posto di lavoro (dopo che un’assemblea si è pronunciata all’unanimità su questo punto), perché contrari a una mobilitazione ideologica, possono e devono produrre quello che fanno ogni giorno e il frutto del loro lavoro deve andare in onda”, si legge in una nota. Secondo cui “chi si sente padrone della Rai deve semplicemente prendere atto che questa è la stagione del pluralismo. Domani andremo a lavorare insieme ad altri 16 mila dipendenti di questa grande azienda che va rilanciata e non infangata ogni giorno dopo averla lottizzata, in maniera abusiva, per decenni. È caduto il muro di Berlino, figuriamoci se non può cadere il monopolio dentro la Rai”. Se non è una dichiarazione di guerra, poco ci manca.
Le ragioni dello sciopero Usigrai erano state esposte in conferenza tenutasi alla Stampa estera. Al sindacato di viale Mazzini era arrivata la solidarietà del presidente Fnsi Giuseppe Di Trapani che aveva parlato di “clima mai visto” e di Italia “orbanizzata” e di attacco “ai diritti costituzionali”.
Per i giornalisti l’agitazione si sarebbe resa necessaria perché “nel piano industriale Rai l’informazione è la grande assente, il ricambio tra giornalisti pensionati e nuovi assunti è bloccato dall’azienda che non bandisce una selezione pubblica per il reclutamento trasparente dei giornalisti e preferisce le chiamate dirette a partita Iva, alimentando nuovo precariato senza stabilizzare l’esistente”. E ancora: “Gli strumenti per consentire il nostro lavoro quotidiano subiscono continui tagli, il premio aziendale di risultato è stato disdettato ai giornalisti, ma di fatto non viene equiparato a quello degli altri lavoratori. Scioperiamo per difendere l’autonomia e l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo dal controllo pervasivo degli spazi di informazione da parte della politica”. Pertanto la mobilitazione: “Continueremo a batterci per assicurare ai voi telespettatori il diritto a essere informati in modo equilibrato, affidabile e plurale. Saremo sempre dalla parte dei cittadini a cui appartiene la Rai”.
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