RAI. IN ONDA IL NODO GOVERNANCE

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Nuova governance sì, commissariamento difficile, privatizzazione no. Il governo Monti sta studiando il dossier della Rai e presto prenderà le sue decisioni.
Un’ipotesi, avanzata da più parti, è quella del commissariamento dell’azienda: l’attuale vertice scade il 28 marzo. I tempi sarebbero troppo brevi per modificare le norme della legge Gasparri che dettano i criteri di nomina per il vertice. Le leggi sulla Rai, però, non prevedono il commissariamento: c’è una norma contenuta in una finanziaria approvata dal governo Prodi che lo prevede per quelle società a capitale pubblico che chiudano i bilanci in perdita per tre anni consecutivi. La Rai, però, chiuderà il 2011 in utile per due milioni, in sostanziale pareggio su tre miliardi di fatturato. Ci vorrebbe, quindi, una legge per introdurre la possibilità del commissariamento.
Per cambiare modello di governance, dando la nomina del cda ai presidenti delle Camere – sembra questo l’obiettivo principale del Governo Monti, una volta messa in secondo piano l’ipotesi del commissariamento – serve sempre una legge.
Il Governo può fare un decreto che modifichi i criteri di nomina del vertice? Secondo diversi politici, solo davanti ad un’intesa della maggioranza si può proporre al Quirinale un provvedimento che abbia caratteristiche di necessità e di urgenza. O in caso la Rai corresse il rischio del fallimento: come accadde nel 93 con l’approvazione del decreto “salva-Rai”, che permise la rivalutazione degli immobili, la svalutazione del magazzino e concesse un prestito della Cassa Depositi e Prestiti (restituito). L’azienda evitò il disastro grazie al decreto e, soprattutto, grazie al taglio dei budget di direzioni e strutture.
Se il Pdl è contrario a un decreto, insomma, la strada migliore sembra quella del disegno di legge. I tempi però, in questo caso, rischiano di essere più lunghi, rispetto a una scadenza ormai imminente come quella del 28 marzo. «L’intenzione del Governo di intervenire nel senso di maggiore autonomia dai partiti e di maggiore efficienza aziendale è sacrosanta – commenta Paolo Gentiloni, Pd –. Vi è un’occasione storica per procedere in questa direzione».
La situazione dell’azienda va valutata dal punto di vista economico-finanziario e all’interno del sistema televisivo. Il pareggio del budget 2012, approvato con il solo voto contrario del consigliere Nino Rizzo Nervo, è contabile. Nasconde un deficit strutturale vicino ai cento milioni. Un pareggio ottenuto grazie all’aumento del canone (senza il quale si prevedeva una perdita di 16 milioni), ad una serie di “tagli” ai budget, all’obiettivo dato alla Sipra di raccogliere un miliardo in pubblicità e ad una serie di dismissioni, la cui fattibilità sarà da verificare. La Rai ha già effettuato 250-300 milioni di riduzione dei costi negli ultimi quattro anni: non è poco ma è difficile continuare a farlo senza toccare il perimetro aziendale e senza intaccare la competitività sul mercato. L’azienda, oggi, riesce a stare a galla con il motore al minimo, grazie alla debolezza di Mediaset, in particolare negli ascolti delle tre reti generaliste. È questo il punto di forza della Rai. Nel medio termine, però, il servizio pubblico non può fare a meno di ridisegnare la propria struttura industriale e l’offerta digitale (deve, ad esempio, sperimentare nuovi generi, come le fiction a basso costo).
Un’operazione, quest’ultima, che richiede autonomia dai partiti, operatività del vertice senza condizionamenti, rilancio della missione di servizio pubblico. In linea con quanto accade in Europa, dove non si privatizza ma si riduce la pubblicità per valorizzare la qualità e la specificità dell’offerta di servizio pubblico (non sempre garantendo a quest’ultimo la necessaria indipendenza).
In questa direzione intende muoversi il Governo Monti, che deve fare i conti con un vertice Rai, quello attuale, difficile da prorogare, se non per un breve periodo. Sono emerse spaccature in tutti gli schieramenti, ultime quelle sul “caso” Minzolini. Un consigliere Pdl, Antonio Verro, sta per essere nominato deputato dopo la morte di Mirko Tremaglia e la scelta del sindaco di Brescia, Adriano Paroli, di restare nella sua città dopo l’incompatibilità delle due cariche decisa dalla Consulta e fatta propria dalla Camera.
Se la riforma della governance dovesse bloccarsi, insomma, l’estrema ratio potrebbe non essere la prorogatio dell’attuale cda, visti anche i “casi” venuti alla luce in questi giorni che coinvolgono lo stesso vertice, ma la sua nomina con la legge Gasparri. La quale dà all’esecutivo la nomina di un consigliere, la designazione del presidente (che deve avere il voto dei due terzi della Vigilanza) e l’intesa con il cda per il direttore generale. Con la Vigilanza spaccata venti a venti, l’esecutivo avrebbe lo spazio per avere un vertice più autorevole e autonomo dai partiti, anche se la strada maestra resta quella della legge.

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