Monti, appena insediatosi, senza che nessuno lo pressasse particolarmente, disse proprio in TV, in un programma RAI, che entro poche settimane avrebbe risolto anche i problemi dell’azienda pubblica televisiva, in qualità di azionista di maggioranza, come ministro dell’economia, oltre che come Presidente del Consiglio. Ma purtroppo quella dichiarazione non si è ancora tradotta in alcun provvedimento. Sulla stessa materia, in un incontro che 100 Autori chiesero ed ottennero con il sottosegretario con delega alle telecomunicazioni, il dott. Vari, il rappresentante del governo si impegnò a convocare allo stesso tavolo quelle “parti sociali” (autori, produttori ma soprattutto broadcaster) interessate ad un rilancio della produzione di audiovisivi. Anche a questa promessa ad oggi non è stato dato seguito. Si sente parlare di pranzi particolarmente indigesti, in cui il Primo Ministro, tra il primo e il secondo, o magari prima del dolce, deve inghiottire, pare, dicono, prima di smentire, presunti ultimatum sulla intangibilità della tv pubblica da un signore che oggi non è altro che il padrone delle reti della concorrenza.
Ora, pur volendo per una volta dare credibilità alla scellerata legge Gasparri che ricondusse la dirigenza della tv pubblica, caso unico in Europa e in gran parte del mondo sviluppato, sotto il diretto controllo del Governo, anche se per un momento dicevo volessimo dare per buona quella legge, beh, Monti avrebbe tutto il diritto di fare della RAI quello che vuole. E però non lo fa. Perché? Soprattutto fino a quando starà fermo? Avrebbe tutto il diritto, in quanto capo del governo pienamente in carica, di mandare a casa una dirigenza RAI che presenta bilanci in pareggio perché ha tagliato gli investimenti sul prodotto, ha consentito di spendere all’estero soldi dei contribuenti per produrre storie italiane, ha evitato di rinnovare i contratti di lavoro per non avere aggravi di spese che non saprebbe come coprire.
E’ questa la gestione sana della tv pubblica che va salvata? E’ questo il management da premiare con una riconferma o anche soltanto una prorogatio? Tutte le associazioni degli autori e dei realizzatori di cinema e fiction, massacrati dal taglio mostruoso degli investimenti della TV pubblica, che segue peraltro da vicino il ritiro delle reti Mediaset dalla produzione (si può parlare di produzione quando si taglia la maggior parte degli investimenti, e quando si conferisce ad un solo produttore, peraltro parte dell’azienda, la maggioranza del budget?). Le regole europee sugli investimenti e le quote di programmazione, pur lasche, sono definitivamente irrise.
Ma la RAI per noi non ha bisogno più di leggi Gasparri, di controllo politico, ma di una governance che veda presente chi la TV la fa e la usa, produttori autori e pubblico, come avviene in Germania ed in Gran Bretagna. Ha bisogno soprattutto di gente che sappia cosa vuol dire fare televisione, che è di per sé mestiere difficile. Non ha più bisogno di pratiche spartitorie, di parlamentini che hanno soltanto lo scopo di imporre la presenza di politici in video e bloccare lo sviluppo di quella che è stata la prima azienda culturale del paese.
E’ per questo che tutti noi ci vedremo nei prossimi giorni in piazza Montecitorio, (la manifestazione prevista per il 22 maggio alle 17.30 è stata rinviata per rispetto delle tragiche vicende di Brindisi e del terremoto). Per chiedere al Primo Ministro in carica di esercitare pienamente i suoi poteri, mandare a casa questo pessimo consiglio di amministrazione della RAI, e insediarne uno che sia fatto di persone esperte, consapevoli, sganciate da ogni conflitto di interesse, all’altezza di una sfida tecnologica ed editoriale che da tempo la RAI ha messo da parte.
Ed è motivo di orgoglio e di gioia che al fianco del mondo dell’audiovisivo si sia prontamente schierato anche il mondo dell’informazione RAI, la cui crisi, i cui tagli, il cui tentativo di controllo è soltanto l’altra faccia dello stresso problema: una tv pubblica occupata manu militari da chi voleva affossare la concorrenza. E’ per la rinascita della tv pubblica, e insieme del mondo dell’audiovisivo, del cinema e dell’informazione che diremo tutti insieme: DELOCALIZZIAMO LEI!
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