Trattato “non bene” dai carcerieri, Domenico Quirico, l’inviato de La Stampa rapito in Siria e rimasto cinque mesi nelle mani dei suoi rapitori confessa: “sì, ho avuto paura” e si è sentito “tradito” da quella “rivoluzione siriana” che tanto interesse e speranze aveva suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei ribelli e che poi è stata dirottata in parte dalle frange dell’estremismo islamico.
Uscito dall’incubo e rimpatriato la notte scorsa a bordo di un Falcon 900 dei servizi decollato da un non meglio precisato “scalo del Medio Oriente” – la Farnesina non lo ha voluto specificare – atterrato alle 00:25 circa all’aeroporto militare di Ciampino, Quirico è apparso visibilmente stanco e provato, ma in buona salute. E’ riuscito a intrattenersi per pochi secondo con il nugolo di giornalisti e operatori che da oltre un’ora lo attendeva allo scalo romano.
Appena disceso dalla scaletta dell’aereo l’inviato de La Stampa è stato affettuosamente abbracciato dal ministro degli esteri Emma Bonino, che lo ha accolto insieme al direttore generale della Farnesina, Michele Valenzise ed alcuni esponenti dell’Unità di crisi.
Vestito con un giubbotto di tela grigio chiaro, i capelli un po’ cresciuti sulla nuca, Quirico, che aveva accanto lo studioso belga Pier Piccinin, liberato insieme a lui, ha detto: “Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa mi abbia tradito”.
Quando lui si diresse a Homs dal confine libanese per quella che doveva essere la sua quarta missione da inviato nell’inferno siriano quel 9 aprile scorso, le cose stavano rapidamente cambiando e le fazioni laiche e jihadiste perseguivano ormai agende diverse. “Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa”, ha aggiunto. Nessuna rivelazione sui suoi rapitori, sui quali sarà probabilmente chiamato a riferire stamani in Procura a Roma. Però in questi 153 giorni “è come se fossi vissuto su Marte”, ha raccontato a un cronista che gli chiedeva se avesse saputo della veglia di digiuno del Papa. A malapena ha detto di aver saputo che in Italia Giorgio Napolitano era stato eletto di nuovo presidente della Repubblica. Quirico è quindi uscito dal piccolo scalo del 31/mo Stormo ed è salito in auto con il ministro Bonino senza che fosse rivelato il luogo in cui avrebbe trascorso la notte. Stamattina, oltre all’impegno con i magistrati in Procura, l’inviato della stampa è stato raggiunto dalla moglie Giulietta e dalle figlie Metella ed Eleonora, provenienti da Govone, nel cuneese, dove il giornalista vive. Sempre in mattinata, Domenico Quirico è stato ricevuto dal presidente del consiglio, Enrico Letta. Con il premier era presente all’incontro anche il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Ad accompagnare Quirico, il ministro degli Esteri, Emma Bonino, e il direttore della Stampa, Mario Calabresi.
Letta ha voluto salutare personalmente Quirico ed esprimergli la sua piu’ viva soddisfazione per la conclusione positiva della vicenda
Durante il suo sequestro in Siria, il giornalista de La Stampa ha subito “due finte esecuzioni”. Lo ha rivelato Pierre Piccinin, l’insegnante belga liberato domenica insieme all’inviato della Stampa.
“Abbiamo subito violenze fisiche molto dure”, ha dichiarato alla radio Bel Rtl, spiegando che per due volte lui e Quirico erano riusciti a fuggire ma sono stati ricatturati e puniti. Nel racconto di Piccinin si dipanano settimane di inferno, in mano a “gruppi molto violenti, molto anti-occidentali e a islamisti anti-cristiani”.
“Domenico ha subito due finte esecuzioni con la pistola e a un certo punto abbiamo pensato che ci avrebbero ucciso perché ci hanno detto che eravamo diventati un problema e che si sarebbero liberati di noi”, ha riferito Piccinin. Una situazione drammatica dalla quale i due, che si sono “sostenuti a vicenda”, hanno tentato di “scappare per due volte”: “Abbiamo approfittato della preghiera, abbiamo preso due kalashnikov e abbiamo lasciato l’edificio. Per due giorni abbiamo corso per la campagna, prima di essere ripresi e gravemente puniti per il tentativo di fuga”.
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