QUESTIONI DI COPYRIGHT: PARTITO PIRATA “CONTRO” PIRATE PARTY
Hanno rubato nome e simbolo. I Partito Pirata rivendica la sua identità in Tribunale. Inutile il reclamo del Pirate Party.
Hanno vinto i primi, gli originali. Quasi sempre accade così nelle scontri sul copyright.
Lo scontro è avvenuto durante la campagna elettorale per le ultime elezioni amministrative. La vicenda è finita in Tribunale. I togati milanesi hanno dato ragione ai pirati “originali”. Marco Marsili, rappresentante legale e leader dell’associazione Pirate Party (e anche autocandidato senza fortuna per le ultime elezioni del cda Rai) ha dovuto cedere. Gli “omologhi” dal nome anglofono si sono costituiti nel 2011 e, a quanto dicono i giudici, hanno utilizzato una denominazione e un simbolo analoghi a quelli del Partito Pirata per pubblicizzare una propria lista in alcuni comuni.
In effetti era difficile cogliere la differenza: «Se si chiamano pirati saranno quelli», avranno pensato in molti. In ogni caso Marsili non ha accettato la decisione del giudice e ha reclamato. Ma 2 giorni fa, il Tribunale di Milano ha confermato l’illecito l’uso del nome e del simbolo, confermando l’ordinanza emessa nel giudizio cautelare. Insomma il Pirate Party avrebbe confuso le acque e approfittato della reputazione del più “vecchio” Partito Pirata.
Inoltre Marsili e l’associazione Pirate Party dovrà pagare le spese legali del reclamo e una multa per il non adempimento dell’ordinanza: 500 euro per ogni ulteriore violazione e 200 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del primo provvedimento.
Peccato che la missione principale del Partito Pirata (che ricordiamo è un movimento internazionale nato nel 2006 in Svezia) è proprio quella di riformare il diritto d’autore promuovendo la libera conoscenza e lo scambio di informazioni. Ma davanti alle elezioni non c’è ideologia che tenga.
Libertà di espressione, riforma del diritto d’autore: si, va tutto bene, ma «non nel mio giardino», dicono gli anglosassoni.
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