La legislazione sulla stampa in Italia presenta dei limiti di attuazione rispetto all’Europa ed uno di questi riguarda le forme di tutela per la professione giornalistica. Si è discusso anche di questo a Napoli mercoledì durante il convegno “Dissolvenza tra fatti ed opinioni, il bavaglio alla stampa in Italia ed in Cina” promosso dall’Istituto Orientale e dall’Osservatorio della Fnsi-Odg, Ossigeno per l’Informazione.
Se in Cina “il rischio legale in cui incorrono spesso i giornalisti investigativi è la diffamazione”, come spiega il legale esperto di diritti umani, Pu Zhiqiang, in una videointervista curata dalla giornalista free lance Laura Cimino, in Italia la miopia normativa che rischia di pregiudicare il libero esercizio della professione giornalistica sembra attuarsi in tre mosse: attraverso il regime penale previsto per il reato di diffamazione a mezzo stampa (artt. 594 e 595 c.p.), il ricatto economico innescato dalle querele in sede civile, e infine il riconoscimento “parziale” del diritto alla riservatezza delle fonti (art. 2 della legge professionale n.69/1963) previsto (solo) per i giornalisti professionisti da parte del codice di procedura penale (art. 200) e “salvo i casi in cui essi hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria”. In caso di rifiuto, il giornalista rischia di fatto l’incriminazione per favoreggiamento nei confronti di persona che abbia violato il segreto di ufficio.
È il caso della giornalista pubblicista, Giulia Martorana, condannata a 20 giorni di carcere, pena sospesa, per non aver voluto rivelare il nome del funzionario che le aveva fornito dettagli coperti da segreto istruttorio su un’indagine in corso.
In Italia «esiste una censura strisciante legata non solo ai poteri legali, della politica, e a quelli criminali ma anche a certi meccanismi innescati dal mercato, come il ricatto economico», sostiene, durante il convegno di mercoledì, Laura Licciardi del direttivo di Assostampa Campania.
La citazione in sede civile del giornalista querelato per diffamazione e costretto all’eventuale obbligo risarcitorio, risulterebbe l’altra prassi ormai consolidata nel nostro Paese atta ad intimidire soprattutto i cronisti non provvisti di un’adeguata copertura legale, perché magari non aventi alle spalle una grande testata. Il contributo di solidarietà economica accantonato in un apposito fondo dall’Associazione della stampa territoriale, grazie anche alla Fnsi, a metà del 2011 sarebbe già esaurito, spiega la Licciardi, proprio per l’aumento della quantità di richieste avvenuto negli ultimi anni.
Per Alberto Spampinato, giornalista Ansa e consigliere della Fnsi, l’escamotage della querela “temeraria” troverebbe terreno ancora più fertile nella condizione di precariato in cui versa lo stato del giornalismo in Italia. «Bisognerebbe creare presupposti legali affinché la professione sia assicurabile», ribadisce nel suo intervento, al fine di superare i vigenti limiti contrattuali per cui i giornalisti spesso non vengono coperti legalmente. Un problema che riguarda migliaia di operatori dell’informazione, e che dovrebbe essere oggetto di una contrattazione sindacale.
A tal proposito verrebbe da chiedersi perché l’occasione non sia stata colta nella sede dei lavori che hanno preceduto la recente approvazione della Carta di Firenze da parte dell’Ordine, prospettando magari una soluzione nei 10 punti relativi proprio alla deontologia sulla precarietà del lavoro giornalistico. Nel documento infatti non vi è alcun riferimento ad una possibile copertura legale per i giornalisti colpiti da querela.
Manuela Avino