Anche il silenzio uccide. E’ esattamente quello che il governo Monti sta facendo nei confronti dei giornali di cooperativa, no profit e di idee la cui sopravvivenza è pesantemente messa a rischio dalla soppressione del fondo per l’editoria. Lunedì alla Camera è stato giudicato inammissibile un altro emendamento che puntava a rifinanziare il fondo con 100 milioni di euro. Secondo i tecnici di Montecitorio altro non sarebbe stato che una finta proroga il che, in un provvedimento come il Milleproroghe che contiene il consueto condono ai partiti per aver appeso abusivamente manifesti elettorali, appare decisamente come una scusa.
La verità è che questo governo non ha la volontà politica di salvare non solo le cento testate a rischio, ma lo stesso pluralismo dell’informazione nel nostro paese. Basti pensare che oltre al manifesto rischiano la chiusura l’Unità, la Padania, Il Secolo, l’Avvenire, il Riformista e molti settimanali cattolici mentre Liberazione insieme a numerose testate locali sono già fuori dalle edicole. Le ultime vittime sono Domani-Informazione di Reggio Emilia e la Cronaca di Piacenza e Cremona. Un elenco che potrebbe allungarsi drammaticamente nelle prossime settimane.
Di fronte a questa situazione il governo tace, dimenticando le rassicurazioni fatte in merito dallo stesso Mario Monti nel corso della conferenza stampa di fine anno e ignorando completamente la raccomandazione con cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in passato ha più volte sollecitato un intervento a sostegno dell’editoria.
«Dietro la neutralità dei tecnici, in realtà questo governo non fa assolutamente niente per intervenire a sostegno di un settore pesantemente in crisi», conferma il portavoce di Articolo 21 Giuseppe Giulietti che lunedì ha chiesto all’esecutivo di intervenire in aula per spiegare la sua posizione. «Dicessero chiaro e tondo che non vogliono mantenere il fondo, sarebbe più onesto. Invece questo silenzio e immobilismo portano solo alla lenta asfissia di decine di giornali».
«Giulietti ha messo a fuoco il cuore del problema di un pluralismo che viene reso povero e mortificato da drastici tagli al fondo senza nuove misure di riequilibrio del sistema», commenta il segretario della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi. «Esistono le soluzioni per impedire che testate giornalistiche siano costrette a chiudere – prosegue Siddi – ed esiste inoltre la disponibilità delle parti sociali a individuare strumenti e proposte per impedire storture nell’assegnazione dei contributi».
Paradossalmente i costi sociali derivanti dalla chiusura delle testate a rischio e dalla conseguente perdita di oltre 5.000 posti di lavoro tra giornalisti e poligrafici, sarebbero molto più alti rispetto allo stesso rifinanziamento del fondo per l’editoria. Una contraddizione che per qualche motivo sfugge ai professori di palazzo Chigi.
Ieri il decreto Milleproroghe è tornato in commissione dove verranno riesaminati una serie di articoli, tra i quali quelli relativi a pensioni e alluvioni. Potrebbe essere l’occasione per tornare a esaminare anche la questione editoria. In caso contrario la questione torna nelle mani del sottosegretario Palo Peluffo, a cui Monti ha affidato al delega all’Editoria dopo le dimissioni di Carlo Malinconico. E Peluffo, starebbe lavorando a un possibile trasferimento di soldi dal Fondo Letta.
Ma si tratta, al momento, solo di ipotesi. Di certo, invece, c’è solo il fatto che i tempi per un intervento si fanno sempre più stretti.
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