La crisi della Gazzetta del Mezzogiorno è sul tavolo del governo. La dichiarazione di fallimento della società editrice e della proprietaria della testata hanno aperto un confronto tra sindacati, Governo e parti sociali per garantire la sopravvivenza ad uno storico quotidiano del Sud. L’appello dei sindacati, delle forze sociali, delle istituzioni è continuo. E l’attenzione sulle decisioni che adotterà il giudice delegato al fallimento circa l’esercizio provvisorio che consentirebbe al giornale di continuare ad uscire in attesa di un nuovo editore è massima.
In questo momento sembra che il valore sociale dei quotidiani locali venga riconosciuto da tutte le parti sociali, istituzioni, sindacati, lettori. Ciò che merita attenzione è il diverso livello di attenzione che è stato riservato negli anni scorsi ad altre iniziative editoriali destinate alla chiusura nel silenzio generale.
Non avevano i numeri della Gazzetta del Mezzogiorno, né la stessa storia. Ma erano giornali diffusi da anni nei territori, che assicuravano voci plurali, occupazione giornalistica, confronto sociale. Nella stessa Puglia la chiusura del Corriere del Giorno nella martoriata Taranto non ha destato nessun grido di allarme; la sua voce si è spenta nel silenzio generale. Come è accaduto in Toscana per il Corriere di Firenze, in Campania per Il Denaro, in Romagna per La Voce, in Liguria per Il Corriere Mercantile. Sono soli alcuni dei quotidiani che hanno chiuso in questi anni senza che vi fosse alcuna alzata di scudi, appelli al pluralismo, alla tutela del lavoro giornalistico, alla storia, al valore dei territori.
I giornalisti di questi giornali, diverse centinaia, sono state trattati come i loro editori, figli di un Dio minore, abbandonati al loro stato di disoccupati in un mercato che non da spazio al pluralismo. Al grido del chiudiamo i giornali è stato dilapidato un patrimonio sociale di cultura, confronto, storia locale. Il salvataggio della Gazzetta del Mezzogiorno è un obbligo per un Paese civile. E sarebbe opportuno che diventasse anche un momento per riflettere sulla storia recente dell’editoria italiana in cui tanti, troppi giornali e giornalisti sono stati abbandonati a sé stessi. Dalle istituzioni, dai sindacati, dalla politica.