Il diritto all’oblio trova una limitazione nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo il senso della sentenza del 16 luglio 1013 sul ricorso n. 33846/07 della Corte europea. Si tratta di un difficile bilanciamento tra due esigenze distinte, da un lato quella del cittadino alla privacy ed alla corretta esposizione dei fatti (anche a seguito di sentenze di condanna degli estensori degli articoli con caratteri diffamatori), dall’altro l’esigenza di tutelare un sistema completo d’informazione che non può prescindere dalla storicizzazione dei fatti. La reputazione dell’individuo, secondo il principio fissato dalla Corte europea, va sicuramente tutelata, ma lo strumento non può essere la rimozione, sic et simpliciter, dell’articolo del giornale dagli archivi informatici, in quanto questi rientrano nell’ambito delle garanzie generali previste dall’articolo 10 della Convenzione, che prevede la libertà di ricevere informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche, fatti salvi i casi di interesse nazionale. L’indicazione fornita dalla Corte europea è estremamente puntuale. L’informazione ha un valore pubblico che prevale sul diritto dei cittadini alla riservatezza. Ma al contempo, il giusto punto di equilibrio è nel dovere da parte dei giornali di dare esplicita menzione dell’eventuale carattere diffamatorio dell’articolo, laddove stabilito da un giudice, o, nell’ipotesi di accertamenti successivi dei fatti differenti dal carattere dell’articolo, dare ampia visibilità agli stessi. Un nuovo argomento di discussione per il legislatore e per gli operatori del settore.