Quando i sindacati devono scegliere i padroni

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Sul mercato editoriale italiano si ipotizzano due trattative. La prima per la cessione da parte dell’Eni dell’agenzia di stampa Agi al gruppo editoriale che fa capo all’Onorevole Angelucci, già titolare del Giornale, Libero e Il Tempo. La seconda per la cessione da parte della Gedi del Secolo XIX a imprenditori liguri. Il minimo, nel senso letterale del termine, comune denominatore è l’alzata di scudo dei giornalisti e dei sindacati nei confronti delle due operazioni. Il “J’accuse” è relativo alle garanzie che in entrambe le operazioni i dipendenti avrebbero, in particolare sotto il profilo dell’autonomia editoriale. In realtà, l’Agi è di proprietà dell’Eni, che è un’azienda pubblica, per cui il problema che ci si dovrebbe porre è come sia possibile che un’agenzia controllata, anche indirettamente, dallo Stato possa competere con le altre agenzie di stampa, edite da soggetti privati. E come l’esecutivo possa condizionare l’autonomia editoriale della redazione, essendo l’editore e nonostante la legge n. 416 del 1981 prevedesse sostanzialmente il divieto per le imprese pubbliche di continuare ad operare nel settore dell’informazione. Si comprende la ritrosia dei giornalisti a passare dalle garanzie offerte dal cappello dell’Eni ad un soggetto privato; del tutto pretestuose le motivazioni che riportano il malessere al gruppo guidato dagli Angelucci che nel settore ha l’unica responsabilità di non essere di sinistra. Ancora più assurde sono le contestazioni per la possibile cessione del Secolo XIX da parte di Gedi. Perché le lagnanze non derivano dalle possibili minori garanzie offerte da un acquirente locale che difficilmente potrebbe avere una solidità patrimoniale pari a quella offerta dalla famiglia Agnelli. Nonostante la stessa famiglia ormai da anni sta cedendo le testate locali sul mercato, concentrando l’attenzione sulla Repubblica e La Stampa e, comunque, facendo ampio ricorso agli ammortizzatori sociali, nel pieno stile di casa Fiat. Le dichiarazioni, in particolare dei sindacati, vanno verso la perdita di autonomia, come se oggi le scelte editoriali dei dipendenti del gruppo Gedi fossero indipendenti dagli interessi della famiglia di riferimento. L’incredibile lettura delle recenti vicende giudiziarie in cui gli eredi dell’avvocato sono coinvolti va oltre ogni ragionevole garantismo, tra l’altro da parte di una linea editoriale da sempre giustizialista, e l’alzata di scudo, in nome della privacy, contro i colleghi della Rai per le riprese con i droni delle residenze della famiglia Agnelli trascende nel ridicolo. Ma improvvisamente per i sindacati una trattativa che potrebbe garantire maggiore libertà ai giornalisti si trasforma in un vero e proprio attentato al pluralismo. E allora il problema non sono i padroni, ma, semplicemente, chi sono.

1 COMMENTO

  1. […] Il caso Agi è stato portato di forza a Bruxelles ma nonostante l’impegno dei giornalisti, non rientra nelle priorità della Commissione Ue. Il tema è stato posto al centro di una domanda durante il punto stampa tenutosi ieri con il portavoce dell’esecutivo comunitario Christian Wigand. Lo scenario prospettatogli da un cronista è quello per cui l’Italia potrebbe diventare come l’Ungheria dal momento che Antonio Angelucci, oltre a essere deputato della Lega, risulta già titolare ed editore di riferimento di diverse testate. E che pertanto potrebbe accadere a Roma ciò che è già successo a Budapest con Viktor Orban che avrebbe chiesto e ottenuto “dai suoi amici” di comprare i media. Insomma, una lettura dei fatti che non sembra calzare precisamente a pennello con la realtà ma che conferma che il vero problema, in Italia, non è il “padrone” in sé ma “chi” è. […]

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