Pubblicità legale, il Governo fa marcia indietro

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Il governo fa un clamoroso passo indietro sull’obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di divulgare sui quotidiani i bilanci e gli avvisi di gare, prorogando al 2016 l’entrata in vigore della norma.

Nella sua formulazione originaria, l’articolo 26 del decreto Irpef prevedeva l’abolizione dell’obbligo di pubblicazione sui quotidiani di questo tipo di atti con effetto immediato sui già disastrati bilanci delle imprese editoriali.

Da subito i grandi editori hanno alzato la voce, chi con stile ed intelligenza, ossia lamentando il rischio di mancata trasparenza rispetto all’operato della pubblica amministrazione, chi, invece, arrivando a dire che “Internet è una cloaca dove riversare tutto”.

Pochi hanno fatto presente che, in realtà, a risparmiare in grandissima parte non sarebbe stato lo Stato, ma le società appaltatrici. Infatti, come già abbiamo scritto, a seguito dell’entrata in vigore del Codice dell’amministrazione digitale l’onere era già stato spostato sulle società che si aggiudicano la gara.

In realtà non cambia molto nell’economia generale delle gare di appalto, basti pensare a quanto incidono sulle imprese gli oneri finanziari sulle anticipazioni bancarie che derivano dagli incredibili ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, rispetto ai costi abbastanza risibili delle inserzioni sui giornali. Mentre per le imprese editoriali i circa 100 milioni di euro (incredibile ma vero: non si riesce ad avere un dato ufficiale, il governo parla di 120 milioni di euro, la Fieg di 75 milioni di euro) fanno, eccome, la differenza.

Ma quello che sorprende e lascia, onestamente, l’amaro in bocca è che la proroga sembra frutto dell’ennesimo compromesso tra Governo e grandi editori e che manchi del tutto un ragionamento sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione che vada al di là del consueto chiacchiericcio. Se servono risorse da destinare all’editoria allora è necessario dire che servono soldi per l’informazione, intesa come industria culturale. Se invece si opta per il mercato, allora si scelga il mercato. Ma è necessario farla questa scelta per evitare di confondere – come in questo caso, e per l’ennesima volta – gli strumenti con gli obiettivi.

 

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