Tutti i giornali parlano dell’acquisto da parte del gruppo Fiat della quota di maggioranza di Rcs. Quindi, la più grande crisi del più grande gruppo editoriale italiano viene sostanzialmente risolta affidando il timone di comando al più grande gruppo industriale del Paese; il tutto con la benedizione di istituti di credito, advisor e simili orpelli della grande finanza italiana. Si tratta di un ritorno al passato, al tradizionale paradigma dell’imprenditoria italiana, basata su alcune grandi famiglie che gestiscono le imprese più significative. E’ un dibattito che viene da lontano, dalla crisi del 29, che assomiglia sempre più a quella che oggi sta devastando l’economia dell’occidente; allora si parlava della necessità di dare forti segnali di distinzione tra i settori dell’economia, l’industria da una parte, le banche dall’altra. Ed i giornali nel mezzo a raccontare quanto accade da un lato e dall’altro. Da allora è passato quasi un secolo, un intermezzo con una grande guerra mondiale, e due sogni svaniti; prima quello di un sistema economico dove tutto fosse di tutti e fosse lo stesso Stato a garantire tutto a tutti. Sogno infranto nei gulag dei maiali che dall’unione sovietica alla Cina, passando per il Venezuela e Pyongyang hanno negato alla gente il diritto alla libertà. Poi quello di una ricchezza collettiva garantita dalle regole del mercato, efficiente per definizione. Un altro sogno naufragato nell’alto mare di una finanza troppo creativa per non capire che la regola del profitto va contemperata con quella della produzione. E quanto accaduto a livello mondiale non può che riflettersi in quella grande provincia che è l’Italia, sommersa dall’onda lunga della demagogia che da sempre va a braccetto con le crisi. E l’editoria nostrana non poteva che risentire di tutto ciò. Va bene, va bene così, ma occorre, forse, ricordare che è arrivato il momento di dare l’estrema unzione alla legge 416 del 1981 che fu pensata per imporre sul mercato un tipo nuovo di editore, quello puro. Il sogno di quel legislatore erano giornali in cui l’editore pensasse unicamente a trovare la redditività attraverso ricavi da vendita e da pubblicità superiori ai costi di gestione; gli altri interessi, dalle concessioni delle montagne per estrarre calcestruzzo alle convenzioni con la sanità pubblica o alle industrie da mettere a carico del paese in tempi di crisi, dovevano essere messi ai margini. Questo era il sogno, un’informazione libera, priva di condizionamenti delle proprietà, dove il lettore fosse posto al centro dell’attenzione. Ma, puff, ci si risveglia dopo oltre trent’anni in una realtà del tutto diversa. La famiglia Agnelli come socio di maggioranza della società editrice de “Il Corriere della sera” è il simbolo del ritorno al passato, anche sotto il profilo formale. La sostanza era questa da tempo. Toccherebbe ora al legislatore sancire il principio che la purezza dell’editore è sinonimo della verginità che riserveremmo a quelli nati in alcuni giorni del mese di settembre; e tutto sarebbe più lineare.