Categories: Giurisprudenza

PROFESSIONE GIORNALISTICA: IL PUNTO SULLA RECENTE GIURISPRUDENZA

Facciamo il punto sulle ultime novità giurisprudenziali in materia di professione giornalistica.
Ai sensi dell’art. 45 della legge 69/1963, nessuno può assumere il titolo di giornalista se non fa parte dell’Ordine professionale. La dottrina, però, si appella all’art. 2126 cod. civ., che stabilisce che la nullità del contratto di lavoro non produce effetti giuridici nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Per l’attività svolta in questo intervallo di tempo, il giornalista ha comunque diritto alla retribuzione e ai trattamenti previdenziali. Spetta al giudice valutare la misura delle corresponsioni, in base a parametri come la natura e la struttura della prestazione.
In relazione agli esercizi abusivi delle professioni, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno chiarito che un soggetto deve essere iscritto all’Albo di una determinata professione, se vuole svolgere attività specifiche inerenti alla suddetta professione. In un certo senso, la sentenza sembra contraddire quella della Sezione Lavoro, ma occorre precisare che in quel caso la giurisprudenza non fa riferimento alla qualità dell’attività svolta.
Un punto a favore della libertà di cronaca è stato segnato dal Tribunale di Reggio Emilia che è intervenuto nella causa intentata dalla fondazione bancaria Manodori contro la tv locale Telereggio. La diatriba ha avuto inizio nel 2009, quando Gabriele Franzini, direttore dell’emittente, ha rilasciato commenti al vetriolo sul bilancio 2008 di Manodori. La fondazione ha richiesto 325.000 euro di danni, ma ha incassato solo il rigetto del giudice, motivato sulla base di una valutazione positiva del servizio di Franzini, definito chiaro e razionale. Il riferimento giuridico è all’art. 21, che non tutela solo le idee facilmente condivisibili, ma soprattutto quelle che “urtano, scuotono e inquietano”.
Sulla stessa linea il giudice dell’udienza preliminare di Potenza ha assolto il giornalista di Telenorba, Francesco Persiani, a conclusione di una lunga catena di procedimenti in cui erano stati coinvolti lo stesso Persiani, un ex gup di Taranto e un avvocato. Nel febbraio 2003 Persiani, che si occupava di un processo su atti dell’ASL di Taranto, riuscì ad assistere ad un diverbio tra il Gup e un avvocato, al quale avrebbero dovuto presenziare solo le parti in causa. In seguito l’avvocato avviò un procedimento civile contro il Gup, ritenendosi danneggiato da alcune espressioni del magistrato, e si avvalse della testimonianza del giornalista. Il Gup non ci ha messo molto a denunciare Persiani per calunnia e falsa testimonianza, accuse dalle quali è stato prosciolto poche settimane fa.
E’ stato, invece, condannato per “aver diffamato la Fininvest in un articolo risalente al 2004”, il noto comico Beppe Grillo. La Corte d’Appello Civile di Roma ha stabilito che il leader del Movimento Cinque Stelle dovrà pagare 50.000 euro, un decimo di quanto richiesto in prima battuta dalla società milanese. Nella sua arringa Grillo aveva paragonato le attività imprenditoriali della Fininvest a quelle della Parmalat, proprio in quei mesi coinvolta in un mastodontico crack finanziario. Satira o diffamazione? I giudici hanno scelto la seconda, con buona pace del comico/politico.
Un’ultima novità sul delitto di calunnia (art. 368 c.p) viene dalla Corte di Cassazione Penale che ha stabilito che l’agente, oltre ad essere cosciente dell’atto per cui è incolpato, deve essere consapevole dell’innocenza del calunniato. Il caso che ha originato l’interpretazione riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per calunnia, per aver addebitato al suo difensore episodi di patrocinio infedele difformi dalla realtà. L’imputato ha fatto ricorso alla Cassazione, appellandosi alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato di calunnia contestato.

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