Qual è il punto di equilibrio tra il diritto del cittadino ad essere tutelato, nella propria vita personale, e il suo diritto ad essere informato su ciò che gli accade intorno? Impossibile dare una risposta; la domanda pone una riflessione profonda, non solo sulla professione del giornalista, ma sulla società stessa: su come si decide di raccontare il mondo e su cosa si sceglie di mettere in risalto.
Di questo si parla nel libro “Privacy e giornalismo – Libertà di informazione e dignità della persona” pubblicato dal Garante per la protezione dei dati personali, a cura di Mauro Paissan, presentato oggi a Roma. La discussione è partita da un recente fatto di cronaca: il caso Avetrana. “Parecchi giornalisti, proprio in questi giorni, hanno pubblicato stralci del diario personale di Sara Scazzi – ha ricordato Paissan – spiattellando in TV e sui giornali i sentimenti privati di un’adolescente. Allora mi chiedo: si aveva il diritto di farlo o si poteva evitare, cercando di informare senza invadere la vita intima di quella ragazza? Si è andati oltre il confine del legittimo? Che figura ha fatto il giornalismo italiano, travolgendo molti principi deontologici, come la tutela dei minori, del domicilio e della sfera sessuale di una ragazza?”
Il caso Avetrana è stato più volte chiamato in causa come esempio di degenerazione di un modo di fare informazione oggi. Certo, se si pensa agli anni ’70, quando non si aveva alcun rispetto per chi finiva nel mirino del giornalista (a cominciare dalle vittime del terrorismo), bisogna ammettere che la sensibilità è molto maggiore. Il giornalismo ha fatto quindi dei passi avanti, ma il livello del rispetto della persona è ancora insufficiente.
Senza considerare che oggi c’è Internet che è un potente diffusore di immagini e dati personali; in rete ogni notizia può diventare gogna ed essere un eterno presente o un passato che non passa mai. Tutto il mondo si sta interrogando su come fare a garantire il diritto all’oblio perché se oggi ognuno di noi pubblica qualcosa di sé e domani vuole ritirarla è giusto che possa farlo.
“Trovare il punto di equilibrio tra il diritto/dovere di informare e il diritto alla privacy non è semplice – ha affermato Giulio Anselmi, presidente della Fieg, Federazione italiana editori giornali – Fare un’informazione civile è la soluzione migliore per convincere che l’informazione è un bene di tutti e poi bisogna ricordarsi che alla base del giornalismo c’è un voyerismo discreto. Quindi bisogna raccontare quello che avviene in alcune stanze, ma non quello che succede in tutte”.
In quest’ottica la responsabilità del giornalista diventa ancora più grande perché deve filtrare le notizie nel mare magnum della rete; anche il tanto decantato citizen journalism ha degli aspetti negativi perché chi scrive risponde solo a se stesso. Invece il giornalista deve seguire dei principi e, soprattutto, pubblicare notizia che siano di interesse generale.
“Oggi non vale più la regola delle 5 W ma quella delle 5 S, cioè sport, spettacolo, sangue, sesso e soldi – ha detto Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti – Dov’è il confine dell’orrore? Sicuramente l’Ordine ha troppe regola quando basterebbe una riga per evitare un’informazione urlata e farne una di buon senso. Abbiamo di sicuro norme vecchissime che vanno riviste, ma credo che l’Ordine sia necessario altrimenti a parlare di informazione sarebbero soltanto gli editori”.
Il dibattito si è poi acceso sul tema del precariato e dell’equo compenso. “La deontologia è un lusso che possono avere solo i garantiti e il precariato rischia di abbattere i livelli della responsabilità deontologica – ha detto il presidente della Federazione nazionale stampa italiana Roberto Natale – Non capisco poi in che senso il giornalismo abbia bisogno di liberalizzazioni. Il governo Monti deve risolvere i problemi concreti, non quelli immaginari. Ad esempio serve la legge per l’equo compenso”.
Dunque la riflessione sul giornalismo si fa ancora più complicata: da una parte c’è il ricatto evidente cui sono sottoposti i giornalisti precari che spesso sono “spinti” da editori o capiredattori ad andare a cercare gli aspetti più pruriginosi di una notizia; dall’altro c’è la responsabilità del singolo che non può nascondersi dietro il fatto che “viene pagato poco” per fare delle porcate. In mezzo c’è la libertà di stampa, che è alla base di ogni democrazia, e il diritto all’oblio che, nell’era di Internet, interessa tutto il mondo.