Addio alle copertine con Sylva Koscina, le gemelle Kessler, Romina Power, Gloria Guida, Ornella Muti e Patricia Millardet oppure, negli anni Novanta, con Claudia Schiffer, Monica Bellucci, Cindy Crawford. Postalmarket, l’antesignano italiano degli acquisti a distanza costretto ad alzare bandiera bianca
Il catalogo dei desideri, da abiti ad oggetti per la casa, non esiste più. Postalmarket fallisce e scompare un testimone importante delle mode che spopolarono nel Belpaese tra gli anni ’60 ed i ’90. Grande innovazione dell’era pre internet, aveva introdotto in Italia la vendita per corrispondenza. A decretare il fallimento è stato il Tribunale di Udine sulla base dell’istanza dell’amministratore straordinario del Gruppo Bernardi, società friulana che aveva rilevato il catalogo nel luglio 2003 per tentare un rilancio, senza successo.
Non è bastato, infatti, il tentativo di convertire la rivista in negozio virtuale e nemmeno la cooperazione con la francese La Redoute, colosso delle vendite a distanza. Non si è riusciti a rinverdire nel web quello che era stato un colosso della vendita a distanza, vero e proprio simbolo dell’Italia del boom economico così come di quella degli anni ’80 e ’90. Il modello di Postalmarket ha permesso, in quegli anni, a migliaia di italiani, specialmente quelli che risiedevano in provincia, di mettere le mani su prodotti difficilmente reperibili nei negozi locali.
La rivista importa nel 1959, da un’idea di Anna Bonomi Bolchini, il modello già in voga negli Stati Uniti della la vendita per corrispondenza. Con la formula del catalogo, che dapprima si acquista in edicola (poi verrà spedito gratuitamente in centinaia di migliaia di case italiane), rende accessibili ai consumatori i prodotti ricercati e non sempre facilissimi da trovare, come ad esempio quelli reclamizzati da Carosello.
Negli Anni Novanta, Postalmarket ha vissuto due cambi di casacca, con il colosso tedesco Otto Versand prima e con il senatore Filograna dopo. Ma i guai dovevano ancora iniziare ed eccoci agli anni Duemila, con il catalogo che ha iniziato a fare notizia per i suoi problemi economici, malgrado i tentativi di rilancio e di espansione sui mercati dell’Europa orientale, e di quelli dei tanti dipendenti finiti in mobilità e in cassa integrazione.
La velocità è un tema chiave per analizzare il fallimento di Postalmarket: negli anni in cui il catalogo ha fatto fortuna i ritmi della vita quotidiana erano molto diversi rispetto ad oggi. La moda, quella della gente comune, non era mordi e fuggi come oggi, ma destinata a durare. Al netto dei tempi, chi sfogliava Postalmarket era animato dalla stessa attrazione per la moda che oggi spinge centinaia di migliaia di persone a navigare sulle pagine dei più noti siti di ecommerce.
Un quadro certo impossibile da immaginare 56 anni fa, agli albori del catalogo. Allora l’idea delle vendite per posta attraverso cataloghi spediti nelle abitazioni di centinaia di migliaia di persone, fruttò, e non poco: solo negli anni ’80 sviluppò un volume di ben 600 miliardi di lire gestendo quasi 50 mila spedizioni giornaliere.
Ora, però, per fare la spesa online basta un clic. I colossi del settore sono quotati in borsa ed offrono spesso capi griffati a prezzi piuttosto contenuti. E così abbigliamento, accessori, scarpe, borse e gioielli hanno cominciato a passare sempre più dal web e sempre meno dalla tradizionale vendita per corrispondenza. Cosa resta allora? Resta la storia, una pagina indelebile della storia industriale e del costume italiano, partita dal quartier generale di Peschiera Borromeo ed arrivata in tutta Italia, dai centri più grandi a quelli più piccoli, conclusasi pochi giorni fa a Udine.