Porpiglia: “Di Maio tagli gli aiuti di Stato invece di attaccare i giornali”

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E pensare che lui, leader conclamato del M5S, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nonché ministro dello Sviluppo Economico, nonché vicepresidente del Consiglio dei ministri del governo Conte, ha pure il tesserino di giornalista pubblicista (diciamocelo chiaramente: un attestato, questo, che oramai hanno anche i salumieri, con tutto il dovuto rispetto ovviamente). 

Ma al nostro Luigi Di Maio manca il tesserino da giornalista professionista perché per averlo almeno un pochino bisogna studiare visto che c’è un esame di mezzo. 

Lui però, dei “colleghi” della stampa, ha poca simpatia. Probabilmente sarà un grande amante dei fumetti: ci sono tanti disegni e poco scritto. Altro che quelle paginate da leggere tutte d’un fiato. 

Sarà per questo che l’ex steward dello stadio San Paolo di Napoli (nel settore tribuna autorità ha sempre precisato non capendone, almeno io, il senso di questa specifica) ha dichiarato guerra ai giornali, volendo abolire i finanziamenti statali. 

Quei famosi contributi pubblici che in ogni Paese che si rispetti vengono elargiti. 

Non a pioggia, come cerca di fare capire il nostro pluridecorato ministro. 

Ma che – secondo la legge in vigore sui contributi, badate bene contributi non finanziamenti – – comprendono un rimborso dal 30 al 50% del costo dei giornalisti e dei grafici assunti a tempo indeterminato, stesso discorso dicasi per i costi della tipografia per la stampa….

A pioggia per esempio, sono, invece, i contributi che lo Stato italiano “dona” alla Fiat della famiglia Agnelli/Elkann, per non parlare della pletora di finanziamenti a fondo perduto che chissà quante start up ed aziende avranno fatto realmente sorgere nel Belpaese! 

E che dire, sempre a mo’ di esempio, per carità, del decreto “salva Ilva” o, se preferite, degli “aiuti di Stato” accordati all’acciaieria di Taranto nel dicembre 2015 (si parla di 300 milioni di euro!) sul quale, come si ricorderà, la commissione europea, per prima, chiese lumi? 

E il decreto “salva-banche”, pensato per salvare Mps ed il sistema creditizio italiano? 

Ah, si. Lì erano anche soldi nostri. 

C’erano pure i nostri risparmi in quelle banche che rischiavano di chiudere i battenti. 

D’accordo, ma volete mettere una “cosa” da 20 miliardi di euro? Mica bruscolini, signori?

A sentire Di Maio, è solo l’editoria a vivere sulle spalle del governo e dunque dei cittadini. 

Non dice il vero, ovviamente. 

Mente sapendo di mentire spudoratamente. 

Ma colpire il giornalista fa effetto, perché si ha l’idea di colpire la cosiddetta “casta”. 

Insomma, non c’è niente di più popolare di mettersi alla guida del Paese e dare addosso all’untore, in questo caso il cronista, che lavora e guadagna “grazie ai soldi pubblici”.

 A molta gente purtroppo piace avere un nemico da combattere quando le cose vanno male e Di Maio dunque va a nozze su questo argomento. 

Dice, in pratica: perché bisogna dare soldi a giornali che nessuno legge? 

Oramai sono carta straccia. 

Bene, ma allora perché non rendere pubblici tutti i contributi statali? E’ possibile avere una lista completa di chi, oltre ai giornali, percepisce qualcosa dallo Stato? 

Perché a questo punto – ma la nostra è una provocazione, per carità – non attaccare gli operai della Fiat che prendono il salario anche grazie a questi aiuti statali? 

Perché chi vi scrive deve pagare, tramite le tasse, un operaio della fabbrica torinese? 

E chi vi scrive non ha neanche un’auto e per dirla tutta comunque non comprerebbe mai una Fiat (ma questo è un altro discorso). 

Ma è evidente che Di Maio preferisce schierarsi contro la casta dei giornali e non contro gli operai, essendo l’Italia per antonomasia un Paese di operai. 

Ma l’equazione è la stessa: un giornalista sta a un operaio come un giornale sta a una fabbrica. 

Uno dei marchi di fabbrica del MoVimento 5 Stelle è “uno vale uno”.  Ma un giornalista, per definizione, può essere anche critico e questo può dare fastidio. 

E con l’esecutivo attuale, non è difficile essere perlomeno dubbiosi. L’operaio, al massimo, fa uno sciopero, ma tutto resta lì. 

Ma torniamo sulla definizione di casta riferita ai giornalisti. 

Chissà se Di Maio al grido di “voglia di lavorare saltami addosso” è a conoscenza della precarietà di migliaia di giornalisti che giorno per giorno cercano affannosamente di andare avanti. 

No, non per vivere, ma per sopravvivere. 

Senza avere alcuna certezza del domani. 

Senza contratti, sottopagati a volte (ma almeno pagati) e con una vita privata pari a zero, non essendoci orari (ma è anche il bello di questo lavoro e sottolineo “lavoro” per Di Maio). 

Ma colpendo i giornali e i cronisti, il vicepremier colpirebbe un grande indotto: dalle segretarie agli addetti alle pulizie, dal marketing ai grafici, dai tipografi alla distribuzione, da chi vende la carta a chi li vende i giornali. 

Tutti lavoratori (capito Di Maio? Forse ha ragione Berlusconi quando dice che dovrebbero contestare solo i lavoratori, ma lei non ha mai lavorato, vero????).

Tutti i lavoratori  che già negli anni hanno pagato sulla propria pelle i tagli del passato, tutte professionalità che con la casta non hanno niente a che fare. 

Casta, caro Di Maio, che sembra più appartenere al suo modo di vedere le cose. 

Un diktat vero e proprio. 

A pensarci bene, un vocabolo che ricorda parecchio una parola che inizia con “ditta” e finisce con “tura”. Tra autoritarismo, cesarismo e totalitarismo veda lei quella che più le si addice (a patto che sappia di cosa si sta parlando).

Ps: mi rallegro però alla fine di quest’articolo, perché penso che in fondo in fondo un bel reddito di cittadinanza non lo si negherà a nessuno, neanche a tutti coloro che rischiano di pagare a caro prezzo le minacce del ministro del Lavoro (bah) Luigi Di Maio.

Pp ps: non me ne vogliano gli operai, ero solo l’esempio più lampante per spiegare la situazione, ma gli esempi possono essere ancora molti altri…

Domenico Porpiglia (direttore di La Gente d’Italia)

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