Editoria

Polonia, la normalizzazione di media e giustizia

Il nazionalismo spinto si misura dalla stampa. Le lunghezze d’onda delle sacre tradizioni del Paese viaggiano via etere

Ecco il fresco Verbo in arrivo dalla Polonia uscita dal voto lo scorso ottobre più tradizionalista e conservatrice che mai, con la vittoria del PiS, un nome un programma e acronimo di “Legge e Giustizia”, esattamente l’opposto di quello che – a sentire non pochi esperti di storie da Varsavia e dintorni – si sta verificando: per la serie, meno diritti per tutti, giustizia normalizzata, silenziatore ai media.

Del resto, il partito guidato da uno dei gemelli Kaczysnki, Jaroslaw (il fratello morì anni fa in un misterioso e mai chiarito “incidente aereo”, uno dei buchi neri della recente storia polacca), non aveva fatto mistero, in campagna elettorale, sui primi obiettivi forti da raggiungere in tempi record. Detto fatto, neanche il tempo di insediarsi e l’esecutivo ha messo mano alla Costituzione, più rapidi d’ogni Renzi: i cinque togati della locale Corte Costituzionale sono stati rimossi e diventati di nomina governativa. A nulla sono valse le immediate proteste di piazza, culminate con una imponente manifestazione, appena prima di Natale, il 19 dicembre, per premere sul capo dello Stato, Andrzej Duda, affinchè non firmasse il provvedimento. Niente: il genuflesso Duda ha apposto il suo sigillo.

Un provvedimento tira l’altro e per festeggiare Capodanno il popolo polacco s’è visto infiocchettare una bella legge che ha letteralmente rivoluzionato l’assetto dei media: licenziamento in tronco per i vertici pubblici ai quali faceva capo l’informazione del Paese, accusati di essere asserviti al precedente governo, e nomina anche stavolta governativa dei nuovi “rappresentanti” del processo di “ri-polacchizzazione di stampa e tivvu”, come fanno notare a mezza voce gli addetti ai lavori. Nuovi vertici subito sfornati dal ministero del Tesoro, al quale d’ora in poi spetta ogni decisione in merito agli assetti dell’informazione pubblica da somministrare ai cittadini. Perché nei loro cuori torni a pulsare l’idea di Nazione e a scorrere sangue polacco doc nelle vene.

Viene del tutto esautorato il “Consiglio nazionale della radio e della televisione” (il “National Broadcasting Council”) prima esistente e comunque capace di garantire un minimo di indipendenza e anche di professionalità a chi andava ad occupare una posizione strategica negli organi pubblici d’informazione. Invitati a far fagotto dal mattino alla sera non pochi volti noti di notiziari e telegiornali, firme di un certo prestigio, ma colpevoli di aver lavorato quando governava il precedente esecutivo, e quindi di non essere espressione del nuovo corso. “Il Consiglio era un organismo comunque costituzionale – fanno notare alcuni giornalisti, neo dissidenti – capace di garantire una base di indipendenza ai media e al livello di informazione pubblica. Ora è tutto capovolto. Torniamo indietro di un secolo ed è probabilmente il primo assaggio di quello che il tandem al potere sta per portare in tavola.

Ecco un altro parere: Il vero obiettivo è quello di arrivare alla nazionalizzazione delle testate indipendenti, ossia di quelle con partecipazione a capitale straniero, fino ad oggi a torto o a ragione considerate le più libere del Paese. La motivazione ufficiale che i nuovi padroni della Polonia adducono è che gli attuali mezzi d’informazione non sono in grado di educare i cittadini a dovere e di svolgere un ruolo unificatore per i destini della nazione”. Per questo vanno rottamati senza pensarci troppo.

Ecco, step per step, quanto dovrebbe a breve succedere, secondo il “Programma” fissato dal ministro (sic) della Cultura e dell’Eredità Nazionale, Piotr Glinsk, che verrà attuato tramite il nuovo moloch della normalizzazione informativa, “Media Bill”. Tutti i media pubblici e la strategica “Polish Press Agency” si trasformano per incanto da imprese commerciali a “Istituzioni nazionali e culturali” che potranno contare su “finanziamenti pubblici, stabili e opportunità di sviluppo”. Vita & occupazione, dunque, in cambio di ossequio alla Patria e ai suoi Vati. Viene creato un nuovo “National Media Council”, i cui componenti saranno nominati in questo mondo: 2 di scelta presidenziale, due individuati dalla Camera bassa del Parlamento (la Sejm) e 1 nominato dal Senato.

Non è ancora finita. Perchè verranno intensificati tutti i controlli delle informazioni che viaggiano in rete, con un capillare monitoraggio di internet. “Il governo ha infatti annunciato – viene sottolineato – di voler cambiare le leggi in termini di sorveglianza, puntando ad avere un maggiore accesso ai dati digitali dei cittadini e ad aumentare i suoi poteri di controllo delle comunicazioni sul web”. Tanto perché il Grande Fratello possa ascoltare & verificare meglio, mandando in naftalina (e forse non solo) privacy d’ogni sorta e soprattutto ogni diritto e libertà d’informazione.

Le opposizioni, comunque, si stanno organizzando, le organizzazioni a sostegno della stampa libera denunciano il caso-Polonia e dall’Europa arriva qualche timido segnale. “Siamo a Varsavia, non a Budapest”, è il leit motiv degli oppositori, che si stanno radunando intorno al movimento subito germogliato dalla società civile KOD (che sta per ‘Comitato a difesa della Democrazia’). Reporters Sans Frontieres prende posizione: “la legge approvata costituisce una chiara violazione della libertà di parola e del pluralismo”. Dall’Europa, il 13 gennaio, un primo vagito: il parlamento Ue, infatti, avrebbe deciso di avviare una “valutazione preliminare” tesa ad accertare se le nuove leggi polacche “violino o meno i principi europei dello stato di diritto”: niente di eclatante – evidentemente per non disturbare alcun manovratore – ma già qualcosa, visto che si tratta della prima ricognizione del genere avviata in sede europea.

Ecco il commento finale di un cronista dissidente:la nostra vicenda non è isolata. La normalizzazione era già partita in Ungheria, a riprova del legame sempre più stretto tra quel paese governato dall’ultranazionalista Orban e il nostro. E il terzo legame in fase di forte rinsaldamento è con l’Ucraina, che sta vivendo un momento di fortissima tensione proprio sul fronte dell’attacco all’informazione”.

A proposito di Ucraina, scrive Francesco Battistini sul Corriere della Sera: Tira una brutta aria per l’informazione, a Kiev. Le superiori ragioni della guerra spingono molti all’autocensura. E fa il caso di un sito ‘fantoccio’ creato dal governo per scovare non solo gli oppositori, ma anche i giornalisti stranieri che osano ficcare il naso nelle vicende ucraine. “L’anno scorso il sito web additò un paio di giornalisti che, due giorni dopo, furono trovati uccisi. E ora la pubblicazione delle liste (7 mila giornalisti di tutto il mondo, ndr), ripresa su Facebook dal ministro dell’Interno, ha ricevuto subito 3 mila ‘like’, mentre è partita una petizione al presidente Poroshenko per bandire dall’Ucraina tutti i media che ‘collaborano col terrorismo’”.

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