E’ finito il tempo della solidarité alla francese. Oltre le Alpi accade quello che non ti aspetti: i poligrafici indicono uno sciopero e i giornalisti fanno il giornale in formato elettronico. Passati i tempi dell’industria della stampa, con i caratteri tipografici da assembleare, il rumore assordante delle macchine e l’odore del piombo che riempiva gli ambienti, i confini tra le due categorie dei lavoratori dei giornali, giornalisti e poligrafici, sembravano ormai essere sfumati. I primi, negli anni, hanno perso appeal: il fascino dell’inviato del tempo, del cronista di politica o giudiziario, colto e informato, ha lasciato spazio al passatore di veline, con un lavoro troppo spesso a metà tra l’ufficio stampa e un ministero. Destino diverso per i poligrafici, categoria decimata, sotto il profilo quantitativo, dalla tecnologia prima e dal crollo delle copie dopo, ma che ha recuperato ampi margini in termini di qualità del lavoro.
I malesseri profondi dell’editoria
Il lavoro fisico oggi lo fanno le macchine, caricano bobine, spostano, tagliano, quello che fu operaio è diventato un tecnico di primissimo livello. Ma la crisi dell’editoria non fa differenze, non ha figli di un dio minore: poligrafici e giornalisti, perdono il lavoro questi e perdono il lavoro quelli. La livella di Totò applicata alla galassia Gutenberg. E sembra indicativo che proprio in Francia, il Paese da sempre più attento alla dimensione sociale del lavoro e delle astensioni, si registri una incredibile spaccatura tra lavoratori che la tecnologia aveva avvicinato. E’ un segnale importante che va sicuramente analizzato con attenzione perché può essere indicativo di malesseri profondi in un settore che non riesce a trovare la direzione.
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