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Perché secondo Google il diritto all’oblio é una boiata

“The court also decided that search engines don’t qualify for a journalistic exception”. Cosa vuol dire? A leggere quello che David Drummond – vice presidente di Google e responsabile delle questioni legali – scrive sul Guardian, significa che  seguendo la decisione sul diritto all’oblio della corte europea, ci si trova nel seguente paradosso. Il maggiore giornale inglese, per esempio, puó pubblicare un pezzo sul suo sito parlando di un qualsiasi individuo e puó raccontare qualsiasi cosa riguardi quella persona. Ma quel contenuto non puó essere reso come risultato dai motori di ricerca. “E’ come se – ironizza Drummond – un libro stesse in una libreria ma non fosse incluso nel catalogo dei volumi presenti nel negozio”.

E’ questa decisione della corte europea che ai grandi capi del Gigante di Montain View pare, per dirla in modo soffice, una forzatura.

Avanti, nel pezzo, Drummond parla degli sforzi, in termini proprio di sviluppo ingegneristico, che l’azienda ha fatto per filtrare i risultati in modo che non comparissero robe che hanno a che fare con pedofilia, con inni a totalitarismi, o cose ritenute illegali anche – per cosí dire – nella vita normale. E per il resto, vale – dice il manager – l’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti umani, secondo cui “ad ognuno deve essere garantita la libertá di espressione e di opinione”. Ma come si fa, sembra chiedersi Drummond, a capire se un contenuto che include il nome di un individuo sia “inadequate, irrelevant or no longer relevant, or excessive (inadeguato, irrilevante o eccessivo)?”.

Per queste ragioni bisogna “parlare di questi argomenti”. E Google ha giá creato una commissione di super esperti (i cui componenti trovate in questa lista) tra i quali spiccano Jimmy Wales di Wikipedia, l’italiano Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford, e Sylvie Kauffmann, direttore editoriale del quotidiano francese Le Monde. Le consultazioni saranno date in streaming, in modo che tutti assistano.

Nella sola Italia, frattanto, sono giá 6 mila le richieste inviate tramite modulo specifico di cancellazione dei contenuti. C’é da pensare che la battaglia non finisce qui.

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