Laurea triennale per i professionisti, esame di cultura generale per i pubblicisti. E ancora, Consiglio nazionale dimagrito a 90 membri (oggi sono 150, ma teoricamente potrebbero crescere ancora) e sdoganamento della posta elettronica per la sua convocazione. Con un occhio allo sbarramento degli ingressi, e l’altro all’efficienza e ai costi della burocrazia interna, il maquillage della legge professionale dei giornalisti – vecchia, in molti sensi, di 48 anni – ha superato ieri il primo step, con il voto in sede legislativa della Commissione cultura della Camera. La mini-riforma, licenziata per la via breve vista la consapevolezza bipartisan che era l’unico modo per levarla dalle secche, attende ora il passaggio al Senato. Nella lunga gestazione, comunque, sono state perse alcune modifiche su cui lo stesso Ordine puntava molto, e che lasciano un po’ di delusione tra i vertici della categoria, dall’abbandono del Giurì per la composizione rapida delle controversie tra giornalisti e privati cittadini, alla Commissione deontologica per il controllo “veloce” sull’operato degli iscritti.
«Questi sono gli unici aspetti estremamente negativi dell’intervento – ha detto il presidente dell’Ordine nazionale, Enzo Iacopino – sui quali torneremo a battere nel passaggio al Senato, ma per il resto mi sento di affermare che ci si sta muovendo nella giusta direzione».
Dal testo licenziato alla Camera esce profondamente rivisto l’ingresso alla professione, almeno dal punto di vista giuridico visto che la prassi da tempo ha ampliato i presupposti per l’ammissione all’esame da professionista. Per essere giornalisti “full-time” servirà la laurea, di qualsiasi natura, ma basterà triennale: altrimenti il candidato dovrà sostenere l’esame integrativo di cultura, oggi limitato ai non diplomati. Per essere pubblicisti (l’elenco che raccoglie chi svolge altre professioni) sarà necessario un test di cultura che accerti l’attitudine e la conoscenza minima della deontologia. Proprio il rapporto numerico tra professionisti e pubblicisti nel Consiglio nazionale (fissato a 60 + 30) sarà materia di discussione in Senato: nel processo di trasformazione del mercato del lavoro «rischia di diventare anacronistico», chiosa lacopino.
Antonietta Gallo
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