Eccola di nuovo. La tregenda si avvicina nello scarso interesse del mondo politico, teledipendente in tutti i sensi. Anni e anni di dipendenza dalle logiche e dal potere del video a dominanza berlusconiana.
La pubblicità – in calo vistoso- è diminuita in modo particolare nell’editoria e il corpo a corpo per accaparrarsi i resti di un mondo che fu ha reso il capitalismo informazionale luddista e crudele. La rete è diventata il nemico principale e la difesa oltranzista del vecchio copyright la linea «Maginot». Nel diluvio globale le testate non profit o estranee alle linee dominanti sono un ostacolo. Rispetto al pensiero unico e all’omologazione culturale, sulla strada del privilegio da confermare ai pochi «signori della guerra». Che però perdono copie perché si assomigliano l’un con l’altro e insieme riflettono i telegiornali di punta: le «larghe intese» sono una formula di governo e un modello di subalternità. Come si vede nei e dai media.
La politica è distratta o ostile, il mercato italiano è la periferia dell’impero e le voci libere e diffuse nei territori o nei mondi associativi potrebbero scomparire. Se non si sveglia il governo, dando una mano alle buone pratiche del sottosegretario Legnini, i guai stavolta sono seri e definitivi. Il fondo dell’editoria – ripulito abbondantemente dai casi ben noti alle cronache giudiziarie, grazie alla legge 103 del 2012 ( battaglia sacrosanta condotta insieme all’allora referente Paolo Peluffo)- è ridotto a 83 milioni di euro per quest’anno. Mancano altri 50 milioni per arrivare almeno alla linea di galleggiamento. Nel 2014 ne sono previsti 54 e l’anno successivo 34. Tutti passibili di tagli in corsa, come è avvenuto qualche mese fa con l’ennesima spending review. Si prenda però da qualche altra parte: F35 e spese inutili, ce ne sono, eccome. Il fondo dell’editoria si trasformi in un «fondo per la libertà di informazione» e si vari finalmente la riforma del settore. Servono pensieri lunghi, immaginando una transizione sorretta da adeguati ammortizzatori sociali, verso un universo digitale vivo e creativo, non la danza della morte del Settimo sigillo. Studi seri, a partire da quello del New York Times, dimostrano che la stampa scritta non muore, bensì è costretta a cambiare nella temperie tecnologica secondo il percorso della mediamorfosi. On line e off line sono polarità dialettiche coessenziali per la composizione del mosaico democratico. Le testate che oggi si ritrovano a discutere e a protestare hanno ragione e rappresentano non già un burocratico fardello del passato, bensì soggetti della nuova rete dell’informazione. Un’alternativa alla costrizione dei saperi.
E così le edicole, da salvaguardare prima che diventi troppo tardi, nonché le emittenti locali, in silenziosa agonia. L’agenda digitale di cui parla sempre Enrico Letta comincia da qui. O non è.
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