Categories: Diritto d'Autore

PARTITO PIRATA DENUNCIA PIRATE PARTY: «NON HANNO NULLA A CHE FARE CON NOI»

Il simbolo è copiato. Il Partito Pirata italiano rivendica la sua identità. Il giudice gli dà ragione.
Pirate Party tradotto in italiano significa Partito Pirata, ma non bisogna confondersi: sono due movimenti diversi.
Gli esponenti del Partito Pirata Italiano (Ppi) hanno diffidato Marco Marsili, il fondatore del Pirate Party, per aver “rubato” il loro simbolo e speculato sulla loro identità. «I soggetti che si sono presentati in alcuni piccoli comuni dell’alta Italia nulla hanno a che fare con noi. Questi signori sotto la bandiera dei pirati, accanto a posizioni alle quali è difficile obiettare (perché vuote e demagogiche), sostengono posizioni contrarie a quelle sostenute da anni dal Partito Pirata Italiano e dell’intero movimento internazionale dei Partiti Pirata. Per questo è stato chiesto alla Magistratura che ciò sia impedito. Non troviamo giusto che si parli in nostro nome e non troviamo giusto che, con il nostro nome, si sostengano posizioni contrarie alle nostre. Non rivendichiamo un “copyright” ma il diritto all’identità pirata di un movimento mondiale». Lo ha precisato il Ppi in seguito ad un articolo de Linkiesta che confondeva i due movimenti.
In effetti c’è una vera e propria ordinanza di un giudice della Sezione Specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale di Milano. La Repubblica del 3 aprile scorso riporta uno stralcio dell’ordinanza avvenuta il 30 marzo. «Allo stato attuale degli atti è verosimile che la ricorrente (il Partito Pirata, ndr) stia subendo una indebita utilizzazione del proprio nome e, più in generale, una lesione della propria identità personale. L’identità della denominazione è del tutto evidente e sussiste un’oggettiva rassomiglianza anche con riferimento alla dicitura in lingua inglese». Inoltre «il simbolo in questione assume valenza sia quale componente dell’identità culturale e politica del Partito Pirata sia come segno atipico suscettibile di impiego in campo economico». Ad aggravare la “appropriazione indebita” ci sarebbe una diversa ideologia di base. Infatti pare che i capisaldi politici non coincidano visto che il «Pirate Party ha pubblicamente espresso posizioni sui temi specifici del copyright e della libertà in rete opposte ed inconciliabili con le idee guida dell’azione politica del Partito Pirata», si legge sempre nell’ordinanza.
I “pirati originali” si dichiararono soddisfatti della vittoria legale. I difensori del Pirate Party hanno annunciato che «presenteranno reclamo contro l’ordinanza cautelare del Tribunale di Milano, che reputano palesemente errata oltreché confusa». Inoltre la “ciurma” di Marsili non ha rinunciato a concorrere alle recenti elezioni amministrative con il suo Pirate Party. Un “atto ribelle” che non ha fatto colpo sugli elettori visto che hanno racimolato pochi voti. Addirittura qualche candidato non ne ha avuto nessuno.
Bisogna dire che, pur essendo legittimo tutelare la propria identità, è strano che un movimento che invoca la massima libertà di espressione e la riforma delle restrizioni del diritto d’autore si rivolga ad un giudice per difendere il proprio simbolo.

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