«Due settimane fa», racconta un reporter del New York Times, «rientrando dopo il weekend nei nostri cubicoli al terzo piano del nuovo grattacielo disegnato da Renzo Piano sulla Ottava Avenue, abbiamo notato con grande sorpresa una nuova targhetta fuori dalla newsroom: Arthur Gregg Sulzberger». Dallo scorso 23 febbraio, il 28enne primogenito dell’editore Arthur Sulzberger Jr. lavora nel giornale di famiglia come reporter di City Room, il popolarissimo blog del quotidiano più autorevole d’America, proprietario anche del Boston Globe e dell’International Herald Tribune. E l’altroieri, in tempo assolutamente record, ha debuttato sulla prima pagina del cartaceo con un lungo servizio sull’asta del Mahatma Gandhi.
L’arrivo del giovane Sulzberger al New York Times, dopo essersi fatto le ossa in quotidiani di provincia come l’Oregonian e il Providence Journal, ha creato alcune perplessità. «È il solito nepotismo», punta il dito un aspirante reporter sul blog Gawker. «Non meritava di essere assunto, solo per il nome, quando il Times ha licenziato cento colleghi appena un anno fa». Ma nella meritocratica America, stranamente, questa volta i commenti sono quasi tutti positivi. «È un giornalista di grande talento, che ha fatto la gavetta», ribatte Sandy Rowe, suo direttore all’Oregonian, dove le inchieste del giovane Sulzberger hanno portato alle dimissioni per corruzione del popolarissimo sceriffo italo-americano Bernie Giusto.
Sul sito muckety.com, Carol Eisenberg riassume il sentimento generale: Arthur Gregg Sulzberger «è il salvatore. La sua discesa in campo dimostra come la dinastia che dal 1896 controlla il Times creda ancora nel futuro dei giornali». Quando il «business blogger» Henry Blodget gli consiglia di «tenere il curriculum vitae a portata di mano», non scherza. «Le azioni del Times adesso costano meno del domenicale — spiega Blodget — e si deprezzeranno ulteriormente». Persino l’infusione di 250 milioni di dollari in contanti fatta di recente dal miliardario messicano Carlos Slim non è bastata a coprire un debito intorno a 1,1 miliardi di dollari.
Dopo aver ipotecato il grattacielo di Renzo Piano, un mese fa il consiglio di amministrazione ha azzerato i dividendi per far fronte alla crisi di liquidità provocata dall’emorragia delle inserzioni. Il ragazzo avrà «un compito, insieme, semplice e immenso — teorizza la Eisenberg —. Assicurare un futuro al Times, in un mondo in cui i giornali stanno scomparendo». In redazione i colleghi tifano perché ci riesca. «È uno bravo, umile, preparato, che non chiede sconti — spiegano, nascosti dall’anonimato imposto a tutti dalla testata —. Sarebbe arrivato anche con un cognome diverso». Non un figlio di papà, dunque, piuttosto un figlio d’arte: prima di fare l’editore anche suo padre aveva lavorato all’Associated Press e al Raleigh Times (ma con esiti ben più modesti del figlio), mentre la madre Gail Gregg è stata per anni una stimatissima corrispondente dell’Upi a Washington e Londra.
Chi lo conosce, insiste che Arthur Gregg sarebbe tornato a New York anche per stare vicino alla madre — da cui ha preso il secondo nome — che lo scorso maggio ha divorziato dal Sulzberger Jr. dopo 33 anni di matrimonio. Ma in The Girls in the Balcony, il libro del ’92 sulla causa per discriminazione sessuale intentata contro il Times, la giornalista Nan Robertson cita un’intervista in cui Sulzberger Jr. giura di «voler lasciare a mio figlio un giornale molto diverso da quello che ho ereditato io». La secondogenita Annie, restauratrice d’opere d’arte, non è neppure citata. (Corriere della sera)