L’ultima puntata della trasmissione Atlantide, il programma televisivo condotto da Andrea Pacifici che va in onda su la 7, è stata dedicata alla memoria di Giancarlo Siani: il giornalista assassinato dalla camorra per un’inchiesta pubblicata su Il Mattino il 23 settembre del 1985.
Il conduttore ha invitato tra gli ospiti l’immancabile Roberto Saviano, Paolo Siani, fratello del giornalista ucciso, Armando D’Alterio, il pm che ha condotto le indagini, Luciana Lamorgese, ministro degli interni, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e tre giornalisti, Massimo Giletti, Federica Angeli e Roberto Paolo. Un parterre ampio di persone per ricordare il delitto di un giornalista che faceva il giornalista, si documentava, approfondiva, scriveva. E proprio per questo è stato barbaramente ucciso. Su questo delitto, o meglio sulle indagini e sugli esiti processuali, Roberto Paolo, vice-direttore ed amministratore del quotidiano “Roma” nonché Presidente di un’importante associazione di editori ci ha scritto un libro nel 2014: il caso non è chiuso, la verità sul delitto Siani.
Nel libro edito da Castelvecchi l’attempato giornalista napoletano ha riletto tutta la documentazione giudiziale dei processi che si sono seguiti nel tempo. Non è un romanzo, non ci sono case di appuntamenti, ma fatti emersi durante le indagini ed i processi. E sulla base di quei fatti Roberto Paolo sostiene che i veri killer sarebbero a piede libero e, cosa ben più grave, degli innocenti in carcere per scontare un omicidio non commesso. Insomma Roberto Paolo ha esposto una tesi sicuramente scomoda: per la famiglia di Giancarlo Siani, per cui il processo rimane, giustamente, un incubo; per chi ha condotto le indagini e per quelle indagini avuto visibilità e avanzamenti di carriera; per i giudici chi hanno giudicato; per la camorra. Ma essere un giornalista-giornalista non significa pontificare ma andare a fondo nelle cose, armarsi di buone scarpe, approfondire e pubblicare: cose scomode se le cose sono scomode. Nella puntata di Atlantide l’intervento integrale del vice direttore del “Roma”, poco più di quattro minuti, è stato tagliato; ed il pubblico ministero D’Alterio ha potuto replicare avendo visto, a differenza degli spettatori, l’intero intervento.
Il risultato è stata una verità a metà. Eppure eppure nella serata dedicata a Giancarlo Siani, il dubbio sarebbe stato il più grande omaggio alla memoria. Perché l’informazione si nutre di dubbio, di domande che richiedono risposte e dell’esigenza di seguire qualsiasi notizia perché dietro ogni notizia ci possono essere fatti che vanno ben oltre la notizia. E il solo dubbio che in carcere ci siano degli innocenti dovrebbe indurre i giornalisti-giornalisti a leggere, documentarsi e cercare di capire se quel dubbio ha qualche fondamento.
E se così fosse, il dubbio diventerebbe notizia, e per amore della verità e della giustizia due valori cari ai giornalisti-giornalisti ed ai magistrati-magistrati il caso dovrebbe essere riaperto dalla Procura di Napoli. Tagliare un intervento per lasciare tutto come è, è roba da giornalisti-impiegati. E non è il modo migliore per ricordare la memoria di un ragazzo che per amore di quel mestiere è stato assassinato.
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