Caro direttore,
il rinnovo dei vertici Agcom previsto per maggio non può essere affrontato come uno dei tanti dossier di nomine da sbrigare con un accordo tra partiti e gruppi. Si tratta di scegliere cinque persone cui affidare le decisioni fondamentali a proposito di Internet e telecomunicazioni, vecchi e nuovi media. Una sorta di governo tecnico che trova legittimazione parlamentare al suo atto di nascita e resta in carica in totale autonomia per sette lunghi anni. La materia è di quelle strategiche per lo sviluppo: dalle decisioni sull’economia digitale dipende il destino di un settore decisivo. Basti pensare a giganti come Apple, prima azienda al mondo per capitalizzazione, o Google, l’azienda più influente nella formazione delle conoscenze.
Al di là del settore, la rivoluzione digitale è poi al centro delle principali trasformazioni tanto nei processi produttivi quanto nel mercato del lavoro. Ed è uno dei due o tre grandi asset che determinano la competitività di un Paese.
Appena nominata, la nuova Agcom dovrà decidere subito su questioni controverse e delicate come i criteri per l’asta delle frequenze non più assegnate col beauty contest, o i rapporti tra Telecom e i suoi concorrenti nell’ultimo miglio della rete.
Non meno rilevante è il profilo politico del rinnovo di Agcom. E non solo perla guerra dei vent’anni attorno al conflitto di interessi di Silvio Bedusconi. Al di là di quel conflitto, che non può del resto considerarsi ancora archiviato, il pianeta comunicazioni continuerà ad essere teatro di dossier incandescenti, dal diritto d’autore alla neutralità della rete al pluralismo televisivo.
L’insieme di queste materie era affidato nel secolo scorso al circuito classico della decisione politica e in primo luogo governo e Parlamento. Non è più cosi. Nel corso degli ultimi dieci-quindici anni l’importanza delle scelte legate a Internet e alle comunicazioni è aumentata, ma il circuito decisionale si è trasferito progressivamente verso la Commissione europea e le Autorità di regolazione. Un trasferimento confermato, nel febbraio dell’anno scorso, da un parere del Consiglio di Stato sui rapporti tra Agcom e ministero.
Decisioni sempre più complesse da prendere con sempre maggiore velocità sono dunque all’origine della sottrazione di materie così ampie e sensibili al raggio di azione del Governo e del Parlamento. Vale perle comunicazioni, come per le banche o l’energia. Una deriva “tecnocratica” densa di motivazioni ma non priva di rischi, al punto che Guido Rossi ha descritto questa surroga dei corpi legislativi da parte di Autorità amministrative come un “nuovo Leviatano”.
Tema di grande attualità, quello del rapporto tra lo Stato democratico e le diverse tecnocrazie, nazionali ed europee, dalle Autorità indipendenti, alla Bce e alla stessa Commissione europea. Non si tratta, semplicisticamente, di restituire spazio alle autorità politiche e legislative a danno di quelle tecnico-amministrative. Si tratta di affermare con maggiore coerenza sia le caratteristiche di autonomia e competenza delle Autorità, sia il rapporto mandatario che le lega alle istituzioni rappresentative. Esigenze entrambe rilevanti e non facilmente conciliabili.
Serve una relazione più feconda tra le Autorità, il Parlamento e il governo, correggendo ad esempio le modalità puramente passive con cui le Camere registrano le relazioni annuali delle Autorità e lo scarso seguito delle loro segnalazioni al governo. Servono personalità davvero competenti, e non soltanto in campo giuridico-amministrativo. E davvero indipendenti, con rigorose incompatibilità: dalla politica ma anche dalle grandi forze economiche del settore. Per assicurare questi risultati è bene che si sviluppi un confronto pubblico trasparente così che i parlamentari che saranno chiamati a votare lo facciano dopo aver valutato, anche attraverso audizioni dei candidati, la competenza e l’autonomia di ciascuno. Servono personalità davvero competenti, e non soltanto in campo giuridico-amministrativo. E davvero indipendenti, con rigorose incompatibilità: Confido che il Partito democratico voglia farsi promotore di questo confronto pubblico, e spero che non sia il solo a farlo. La posta è troppo alta perché il gioco possa restare chiuso nei circuiti interni della politica.
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