“Tempi d’oro” per gli hacker del terzo millennio che sembrano avere la meglio su qualsiasi contromisura che l’industria anti pirateria fin’ora ha adottato per combattere le numerose “falle” di un sistema poco sicuro per i privati cittadini e non solo.
I virus diffusi sempre più frequentemente, infatti, mirano a danneggiare trasversalmente istituzioni governative, banche, network e media in generale, fino ad arrivare al cuore di centri operativi essenziali come la rete dei trasporti, quella elettrica o pharma-sanitaria che, di colpo, generano il black out di un intero settore e, in maniera più ampia, impediscono la fruibilità di servizi di prima necessità con gravissime ripercussioni anche in termini economici.
E negli ultimi 24 mesi la situazione è pericolosamente degenerata non solo negli USA paese che detiene il triste primato di “intrusioni indesiderate”, ma anche in Italia dove, secondo il Rapporto Clusit 2015 realizzato dall’Associazione Italiana per la sicurezza informatica, la diffusione di malware dal 2013 al 2014 è aumentata del 122%.
Va ancora peggio nella comparazione tra gli ultimi dati e quelli di 4 anni fa, quando le intromissioni erano soltanto 1/10 di quelle attuali.
Le rilevazioni coincidono con quanto riportato anche dal recente Data Breach Investigations Report 2015 di Verizon anche se, sorprendentemente, negli States le minacce più frequenti sono di tipo più “tradizionale” rispetto a quelle nostrane.
Infatti, mentre la ricerca made in Italy mette in evidenza la crescita esponenziale di attacchi DDoS, distributed denial of service, trojan horse e spam anche grazie all’utilizzo incauto di smartphone e tablet di ultima generazione, divenuti il “mezzo” più utilizzato per scaricare virus e mettere fuori uso la rete, in America invece, dove il crimeware vede al 1° posto il phising (violazione dei Pos), al 2° il cyberspionaggio industriale e al 3° quello informatico (ai danni soprattutto di assicurazioni ed aziende finanziarie), il sistema viene “infettato” utilizzando principalmente i vecchi cluster computing.
Diversamente da quanto accade in Italia, negli States dispositivi mobili e internet delle cose (il funzionamento intelligente di moderni sistemi di allarme o di elettrodomestici) non risultano “veicoli” altrettanto pericolosi.
Ovviamente il numero dei casi e il danno economico riportato ha proporzioni assai più rilevanti che in Italia: sempre secondo il Data Breach Investigations nel 2014 sono stati violati 700 milioni di dati per una perdita pari a circa 400 milioni di dollari.
Alla luce del recente attacco alla White House e al presidente USA, lo stesso Barack Obama ha deciso di inasprire le pene contro gli atti di pirateria digitale imponendo multe salatissime e dichiarando le violazioni più gravi “casi di emergenza nazionale”.
Basterà per scoraggiare gli hacker più audaci o, al contrario, questi provvedimenti rappresenteranno un’ulteriore “sfida” a violare siti più o meno protetti, facendola franca?
Di questo e molto altro si è discusso all’ultimo Rsa californiano, la kermesse più importante degli States che si occupa di cyber-security, durante la quale molti esperti di fama mondiale hanno dichiarato che la buona volontà di Obama non è sufficiente a contrastare un fenomeno così grave e dilagante.
Ad esempio, secondo Salil Deshpande, direttore esecutivo di Bain Capital Venture Partners, i software disponibili hanno concesso alle start up che li hanno sviluppati di diventare solide realtà imprenditoriali quotate in Borsa (Fire Eye e Websense in testa), ma sono del tutto inadeguati ed incapaci di “stanare” i pirati del web.
Anche Jeff Moss, per ironia della sorte ex hacker, oggi consulente del Dipartimento della Difesa e Jennifer Granick che guida il Center for Internet and society alla Stanford University, sostengono che la vulnerabilità dei sistemi informatici non sempre aggiornati o non al passo con i tempi, ha innescato l’escalation di intrusioni e minacce causate anche dalla facilità con cui le aziende consentono ai dipendenti l’accesso a password, dati sensibili e documenti riservati.
Come dal rapporto Clusit, anche il Data Breach ha evidenziato che per prima cosa non bisogna sottostimare il problema e in secondo luogo è necessario dotarsi di un buon antivirus come il classico Kaspersky o l’israeliano AVG, entrambi disponibili anche nella versione mobile, anche se il più usato in ambito Windows resta Avast! Mobile Security, ritenuto molto affidabile e performante.
Molti altri programmi più innovativi e sofisticati sono già in fase di studio e sperimentazione presso spin-off e start up specializzate in sistemi anti pirateria: la guerra agli hacker è appena cominciata!
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