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Nessuna violazione della privacy per la banca che rivela l’entità del patrimonio della madre nel giudizio contro il figlio

Con ricorso ex art. 152 D.Lgs.n. 196/2003 al Tribunale di Milano, M.G.C. esponeva: che era titolare in proprio dal 1997, presso la Deutsche Bank s.p.a., di una custodia titoli italiani e di una custodia titoli esteri nonché, in unione con i figli S.R. e I. , di un conto corrente sul quale venivano accreditati e addebitati i risultati attivi e passivi delle predette custodie titoli; che nel (…) R.S. aveva aperto nella medesima agenzia della suddetta banca un proprio conto corrente ed una propria custodia titoli; che la Deutsche Bank, nell’ambito di un giudizio contro di essa instaurato da R..S. per risarcimento danni, aveva prodotto senza autorizzazione alcuna da parte della ricorrente le custodie titoli di cui essa è titolare in via esclusiva, in tal modo rendendo nota l’entità e la natura del suo patrimonio mobiliare; che detta produzione documentale integrava l’illecito di cui all’art. 167 D.Lgs.n. 196/2003, e comunque costituiva una modalità di trattamento di dati personali eccedente le finalità per cui i medesimi erano stati raccolti dalla banca stessa. Chiedeva pertanto il blocco dei suoi dati personali nonché lo stralcio dei documenti divulgati illegalmente dalla banca e la condanna della medesima al risarcimento di tutti i conseguenti danni. Il ricorso veniva ritualmente notificato – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – al Garante per la protezione dei dati personali ed alla Deutsche Bank s.p.a.. Quest’ultima si costituiva opponendo che l’art. 13 comma 5 lett. b) D.Lgs. n. 196/2003 consente la comunicazione e l’utilizzazione di dati personali di terzi qualora siano utilizzati per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, anche ove i dati personali riguardino soggetti che non siano parti del giudizio in cui la produzione viene eseguita; che i documenti da essa prodotti nella causa, intrapresa dallo S. nei suoi confronti per i danni che assumeva di aver subito a causa delle indicazioni di consulenti della banca nell’acquisto di titoli obbligazionari emessi dallo Stato argentino e dalle società Cirio e Parmalat, erano pertinenti all’oggetto della causa (in quanto la loro produzione era tesa a dimostrare la qualità di investitore esperto dello S. , operante anche su titoli ad alto rischio quali quelli presentì nei depositi titoli in questione) e resi noti ai soli soggetti della causa stessa nei limiti di quanto strettamente necessario a sostenere la tesi difensiva della banca in tale controversia; che in ogni caso la richiesta di stralcio dei documenti era inammissibile in quanto incidente sulla valutazione di ammissibilità dei mezzi probatori riservata al giudice della causa, e la domanda di risarcimento era infondata perché lo S. , in quanto cointestatario del conto corrente sul quale transitavano tutte le operazioni attinenti alle custodie titoli in questione, aveva il diritto di conoscere tutte le operazioni eseguite sul medesimo.

Con sentenza depositata il 20 marzo 2006, il Tribunale di Milano respingeva il ricorso con compensazione delle spese, osservando in sintesi:
a) che il D.Lgs. n. 196/03 ha riconosciuto in generale la prevalenza del diritto alla difesa stabilito dall’art. 24 Cost. rispetto al diritto alla riservatezza in ordine al trattamento dei dati personali e di parte dei dati sensibili dell’individuo, sempre che siano rispettate le condizioni poste da tale fonte normativa concernenti la pertinenza del trattamento dei dati in questione all’ambito difensivo specifico e la delimitazione temporale del trattamento stesso allo stretto necessario per consentire il perseguimento delle finalità cui esso appare rivolto;
b) che la pertinenza della produzione documentale eseguita dalla banca va verificata rispetto alla sua tesi difensiva nei suoi termini astratti (cioè nella sua effettiva inerenza alla finalità di addurre elementi atti a sostenere il rigetto delle domande) a prescindere da ogni valutazione circa la concreta fondatezza della tesi stessa e circa l’ammissibilità e rilevanza dello specifico mezzo istruttorio, riservate al giudice della causa;
c) che, in tal senso, tale pertinenza sussiste, né in contrario possono rilevare le contestazioni della parte ricorrente in ordine alla insussistenza di un nucleo familiare C. / S. (per il fatto che i suoi componenti da anni conducono vite autonome e separate), tenendo anche conto che alla incontroversa contitolarità del conto corrente cui facevano capo i depositi titoli corrispondeva la possibilità per tutti i contitolari di operare sul conto stesso per l’acquisto di titoli e per beneficiare della redditività da essi fornita; che anche le modalità del trattamento non violano la legge, atteso che la produzione in giudizio non ha integrato una forma indiscriminata di diffusione dei dati contenuti nei documenti bensì una comunicazione limitata al giudice della causa ed alle parti, e sotto altro profilo costituisce l’esplicazione tipica del diritto di difesa che come tale non può ritenersi in contrasto con le finalità perseguite dall’art. 24 D.Lgs.n. 196/2003.

Avverso questa sentenza M.G.C. ha proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 152 comma 13 D.Lgs. citato, cui resiste con controricorso la Deutsche Bank s.p.a..
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 11 e 24 D.Lgs. n. 196/03, 1321, 1372 e 2702 cod. civ., 115 e 116 c.p.c., 23 T.U.F. n. 58/1998) nonché l’omesso esame del contratto deposito titoli e delle norme per la negoziazione degli ordini ed insufficiente motivazione. Sostiene che il giudice di merito, non rilevando che parte contraente dei due rapporti di deposito titoli era essa sola ricorrente e che la contitolarità del distinto conto corrente non consentiva a suo figlio di operare l’acquisto o la vendita di titoli depositati o da depositarsi nei suddetti conti, avrebbe erroneamente ritenuto che i dati contenuti negli estratti delle custodie titoli in questione siano pertinenti ai fatti della causa S. / Deutsche Bank.
1.1. La doglianza è priva di fondamento. L’art. 24 lett. f) D.Lgs.n. 196/2003 consente di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di dati personali quando quest’ultimo sia necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Rettamente il Tribunale ha ritenuto che la verifica circa la ricorrenza di tali condizioni non debba essere confusa con l’esame nel merito dei rapporti tra le parti della causa nella quale si inserisce il trattamento dei dati: ciò che rileva, ai fini della esimente di cui all’art. 24, non è la concreta idoneità della documentazione prodotta dalla Deutsche Bank in quella causa a provare la sua tesi difensiva (valutazione che compete al giudice della causa stessa), né la ammissibilità di tale produzione documentale (idem), bensì la sua oggettiva inerenza a tale specifica difesa, quindi alla finalità di addurre elementi atti nella specie a sostenere il rigetto delle domande contro di essa rivolte. La puntuale motivazione resa sul punto dal Tribunale milanese – secondo cui la produzione documentale della quale si discute è sussumibile in tale fattispecie normativa, essendo destinata a provare la qualità di investitore esperto della controparte S. onde escludere la dedotta responsabilità della banca per averlo indotto all’acquisto di titoli ad alto rischio- si mostra quindi più che congrua alla luce del dato normativo come sopra interpretato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia l’omissione di pronunzia e la violazione o falsa applicazione degli artt. 11 e 24 D.Lgs.n. 196/03 e dell’arti 12 c.p.c, nonché l’omissione di motivazione, sulla violazione dei limiti di correttezza e non eccedenza previsti dall’art. 11. La Deutsche Bank avrebbe trattato i suoi dati personali ed il suo nome in modo scorretto, alla luce dei principi giurisprudenziali sui limiti del diritto di cronaca – perché ha affermato l’esistenza di un nucleo familiare C. / S. che non esiste (mancando il requisito della convivenza dei familiari) e di investimenti di tale nucleo che sono invece propri di essa ricorrente soltanto -, e in modo eccedente perché invasivo della sua privacy nella misura in cui ha trascritto in dettaglio la composizione e la consistenza patrimoniale dei titoli in custodia, commentandone il contenuto; e, d’altra parte, ha scelto di produrre direttamente gli estratti del conto titoli anziché formulare al giudice istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c..
2.1. Anche tali censure non colgono nel segno. Premesso che, in una fattispecie quale quella in esame nella quale si controverte della esimente dell’esercizio del diritto di difesa rispetto alla responsabilità per il trattamento di dati personali, il riferimento ai limiti giurisprudenziali all’esercizio del diritto di cronaca si mostra inappropriato e privo di fondamento normativo, va rilevato come la ricorrente torni erroneamente a prospettare – qui sotto il profilo della violazione del principio di correttezza – argomenti attinenti non all’eseguito trattamento dei dati in sé, bensì al merito delle affermazioni difensive espresse dalla Deutsche Bank nel distinto giudizio instaurato dallo S. . Sulle quali rettamente il Tribunale milanese non ha ritenuto di poter esprimere una specifica valutazione di merito, quale quella richiesta dalla odierna ricorrente, che si palesa estranea anche alla verifica circa la correttezza del trattamento dei dati. Verifica richiesta dall’art. 11 letta) del D.Lgs. n. 196 in relazione alle modalità del trattamento stesso non già alle tesi difensive che lo accompagnano.
Quanto poi alle ulteriori censure, pare sufficiente osservare: a) che l’istanza di esibizione è prevista dall’art. 210 cod.proc.civ. per l’ipotesi in cui il documento sia in possesso della controparte o di un terzo, non in quella, qui ricorrente, nella quale il documento stesso sia in possesso della stessa parte istante; b) che la sentenza impugnata ha congruamente giustificato la sua valutazione in ordine alla non eccedenza dell’eseguito trattamento dei dati rispetto alle finalità difensive di Deutsche Bank, osservando – da un lato – come la documentazione in ordine alla specifica natura dei titoli custoditi fosse necessaria a sostenere la tesi difensiva (la cui fondatezza, si ripete, sarebbe stata valutata dal giudice della distinta causa di merito) basata sulla qualità di investitore esperto rivestita dallo S. , dall’altro come la produzione in giudizio di tale documentazione -esplicazione tipica del diritto di difesa – non abbia in alcun modo travalicato i limiti di tale facoltà difensiva.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 43 cod. civ., dell’art. 11 D.Lgs. n. 196/03 e dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione: il Tribunale di Milano non avrebbe adottato alcun provvedimento a tutela del suo diritto al nome e alla identità personale, anche con riguardo alla arbitraria indicazione di un inesistente nucleo familiare C. / S. . Va tuttavia osservato che tale questione, non risultante sollevata in sede di merito (risulta solo, nelle conclusioni, la richiesta di cancellazione del nome della ricorrente), fuoriesce dall’ambito della tutela del diritto alla privacy come delineata dal disposto dell’art. 152 D.Lgs.n. 196, cui l’atto introduttivo di questo giudizio ha fatto riferimento. Il motivo è dunque inammissibile, in quanto tendente ad introdurre in questa sede di legittimità una distinta pretesa di tutela del diritto al nome, che peraltro avrebbe dovuto essere fatta valere nelle forme del giudizio ordinario.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt.185, 616 e 622 cod. pen., 15 e 167 D.Lgs. n. 196/03, 2043 e 2059 cod. civ. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.: lamenta l’omissione di pronunzia sulla domanda di risarcimento danni, basata anche sulla illiceità della divulgazione degli estratti delle custodie titoli (che ella riceveva in busta chiusa al proprio domicilio) sotto il profilo degli artt.616 (inviolabilità della corrispondenza) e 622 (violazione del segreto professionale) cod. pen..
4.1. Va tuttavia osservato che ad integrare l’omessa pronunzia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata sotto il profilo non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. tra molte: Sez. 2 n. 20311/11; Sez. I n. 10696/07; Sez. L n. 16788/06). Ed invero l’impostazione logico-giuridica della sentenza impugnata – nella cui epigrafe risulta peraltro puntualmente riportato il riferimento, nelle conclusioni di parte ricorrente, alla violazione dell’art. 616 cod. pen. – si fonda sul riconoscimento della prevalenza del legittimo esercizio del diritto di difesa da parte di Deutsche Bank sui diritti che la ricorrente ha inteso tutelare con l’azione giudiziale in esame; prevalenza che si mostra incompatibile con il riconoscimento della violazione non solo del segreto professionale cui è tenuta la banca ma anche del diritto della ricorrente alla inviolabilità della corrispondenza a lei diretta. Riconoscimento che del resto trova ostacolo (oltre che nella già ricordata norma dell’art. 24 D.Lgs. n. 196) sia nella norma generale dell’art. 51 cod. pen. sia – con riguardo specifico alla corrispondenza – negli artt. 93 e 94 L. n. 633/1941 che, in relazione alla corrispondenza di carattere confidenziale o relativa alla intimità della vita privata, escludono la necessità per la sua divulgazione o riproduzione del consenso del (mittente o del) destinatario quando la conoscenza dello scritto sia necessaria ai fini di un giudizio, civile o penale.
5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 5.000,00 per compenso e Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone d’ufficio che siano omessi le generalità o gli altri dati identificativi di C.M.G. e S.R. , a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196/2003.

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