Ve lo ricordate il codice di condotta sulla disinformazione che l’Ue ha “imposto” agli Over the Top del web per arginare il fenomeno angosciante e destabilizzante delle fake news in piena pandemia? Ebbene, non l’ha rispettato nessuno dei suoi firmatari che – evidentemente – di rinunciare agli introiti garantiti dai contenuti (fasulli) che poi diventano virali non ci pensano proprio.
Non lo ha detto qualche luddista e nemmeno qualche “complottista” dell’ultima ora bensì l’accusa è arrivata da Thierry Breton, commissario Ue al Mercato Interno, che ha diffusamente parlato di questo problema durante una conferenza stampa tenutasi proprio a Bruxelles in cui è emersa la constatazione del problema e una sua possibile soluzione: un ulteriore giro di vite da sancire con il rafforzamento del codice stesso.
Secondo Thierry Breton: “Nessuno dei firmatari ha rispettato il Codice di condotta sulla disinformazione nella sua interezza. Ma tra Google, Twitter, TikTok, Mozilla ed altri, uno ha fatto meglio degli altri rispetto a quanto avvenuto l’anno scorso”. I motivi, secondo Breton, sono sempre gli stessi. Anzi è sempre lo stesso: “Vediamo che vengono prodotte risorse grazie alla disinformazione, e sappiamo che un contenuto virale spesso viene spinto dalle piattaforme perchè lì verrà innestata pubblicità e si creerà un reddito. Bisogna poter verificare le piattaforme e vedere cosa accade negli algoritmi che spingono questo tipo di prassi”.
Riguardo al Codice di condotta sulla disinformazione “bisogna ampliare il regolamento a un numero importante di attori, perchè molto avviene nelle piccole piattaforme, ed è inaccettabile”.
L’Ue, dunque, ha chiesto di implementare la rete di fact checker stabilendo, con forza, che nessuna censura dovrà mai interessare le opinioni bensì i fatti dovranno essere accertati come veri prima di essere messi in rete.
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