NEGLI ORDINI PROFESSIONALI POTERE DISCIPLINARE RESTA IN MANO AI «VECCHI»

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Ancora l’altra sera la ministra Fornero (foto), intervenendo
alla trasmissione «Ballarò», ha ribadito
che lei personalmente e il governo di cui fa parte
stanno cercando di svecchiare il sistema Italia

puntando sui giovani, sulla competizione, sulla professionalità.
Parole sante eppure di sicuro c’è qualche decreto
che appare in singolare contrasto con la linea dei giovani e
del merito. Mi riferisco al Dpr 137 del 7 agosto scorso che ha
portato a compimento la «riforma» degli Ordini professionali.
In realtà non si tratta di una vera e propria riforma
degli Ordini, bensì dell’adeguamento dei singoli ordinamenti
professionali a principi comuni. E così, per esempio, è stato
introdotto l’obbligo della formazione continua, un toccasana
per noi giornalisti afflitti dalla sindrome dei tuttologi.
Ma il decreto sancisce anche l’obbligo per tutti gli Ordini
professionali di scindere l’attività amministrativa (iscrizioni,
cancellazioni, formazione, esami, ecc) da quella specificamente
disciplinare. A tal fine il Dpr 137 ha istituito i
Consigli territoriali di disciplina e il Consiglio nazionale di
disciplina.
Fin qui tutto ok, anzi separare le funzioni dei
consiglieri non può che essere un bene ai fini della funzionalità
e, soprattutto, della trasparenza.
I problemi cominciano però quando il Dpr agostano – chissà,
forse per il solleone – entra nei dettagli. Innanzitutto dice
che i Consigli territoriali (nel caso di noi giornalisti il livello
territoriale è dato dalla regione) devono essere formati da tre
persone. Ora, se c’è un rimprovero che viene mosso agli
Ordini professionali è di non intervenire a sufficienza contro
i comportamenti illeciti degli iscritti. E questo accade oggi
con Consigli regionali che sono formati da più di tre persone
(nove nel caso dei giornalisti). Come potranno solo tre consiglieri,
sebbene sgravati dagli impegni amministrativi, svolgere
un lavoro più attento e tempestivo? Ci sono regioni
come il Lazio o la Lombardia, con 20mila giornalisti ciascuna: dovrebbero avere lo stesso numero di giudici disciplinari
di Valle d`Aosta (335 giornalisti), Molise (560), Basilicata
(774)?
Ma vi è di più e forse di più grave. Il Dpr 137 impone anche
che tutti gli organismi disciplinari debbano essere presieduti
dal consigliere più anziano, mentre il più giovane svolge le
funzioni di segretario. È evidente che a un giudice, ancorché
solo disciplinare, debba essere richiesta una certa esperienza.
Ma anche la sensibilità, la competenza, le capacità organizzative
sono qualità importanti. Invece, la norma ministeriale
sposa un principio antidemocratico e francamente
incomprensibile alla luce di tutta la politica di innovazione
annunciata dal governo Monti.
Se si fa fatica a svecchiare i Consigli degli Ordini professionali,
con questa norma che premia gli ottuagenari, è
facile che si torni all’antica concezione dei «senatori della
professione». Con tutto quel che ne consegue sul piano
dell’interpretazione e dell’applicazione delle norme disciplinari.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, per
esempio, fino a qualche anno fa vedeva appena sotto i 70 anni
l’età media dei suoi componenti. Il che significa che c’erano
consiglieri che non avevano mai lavorato su un computer, ma
erano andati in pensione con la vecchia macchina per scrivere
ancora in auge. Oggi la situazione è migliorata e l’età
media dei consiglieri nazionali è attorno ai 50 anni. Ugualmente
ci sono però colleghi che non hanno mai trasmesso un
pezzo via mail o ripreso immagini con l’iPad: come potrebbero
costoro giudicare per esempio una violazione della riservatezza
commessa da un giornalista con l’utilizzo di un
telefonino se non hanno contezza di quali progressi la tecnologia
consente? O se non sanno come si svolge oggi il
lavoro nelle redazioni, con le notizie che arrivano da Twitter
e non dalle agenzie di stampa?
Invece il governo dei tecnici sostiene esattamente questa
tesi. Quindi non una democratica elezione fra i consiglieri
chiamati a svolgere le funzioni disciplinari, ma un mero
automatismo anagrafico-professionale. Alla faccia di competenza,
capacità e competizione.
Sarebbe interessante se il ministro interessato, in questo
caso Paola Severino, senza bisogno di scomodare «Ballarò»,
spiegasse le ragioni di tale scelta al milione e trecentomila
professionisti italiani interessati.
(La Gazzetta del mezzogiorno)

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