E’ sempre un gran brutto vedere la politica che mette le mani sulle sanzione penali in base ai pruriti dell’opinione pubblica: morto Priebke, subito fioccano le proposte di mandare in galera i negazionisti, un modo, secondo qualcuno, per rendere postuma giustizia alle vittime della follia nazista. Negare ciò che la storia ha dimostrato, ossia i crimini di genocidio o contro l’umanità, può essere una sciocchezza; ma deve essere un diritto. Ognuno deve essere libero di pensare quello che vuole ed esprimere liberamente la propria opinione, lo dicono la Costituzione italiana ed i numerosi trattati in materia di diritti dell’uomo che sono stati firmati proprio dopo la seconda guerra mondiale. Le opinioni, anche pessime, devono essere lecite, perché ogni limitazione di un diritto inalienabile, quello al libero pensiero, è intollerabile. La cultura, come dicono anche la giunta delle camere penali, rimane l’unico strumento per combattere, in maniera costruttiva, i tentativi di affermare falsità. Al negazionista si risponde con i fatti della storia, non con le manette. Perché negare il diritto di negare significa ricostruire il reato di eresia, quello in nome del quale le maggioranze di tutti i tempi hanno oppresso le minoranze di tutti i tempi: non era possibile che la terra girasse intorno al sole, ai tempi di Galileo; ed in nome dell’eresia è stato bruciato Giordano Bruno. Le dittature del novecento si sono basate sulla contrapposizione tra il pensiero lecito ed il pensiero illecito: la censura sociale delle opinioni crea una barriera ideologica, la morale pubblica non deve mai prevalere sulla libertà di pensiero, in quanto diventa autoreferenziale ed eleva le maggioranze a soggetti inquirenti e giudicanti, la strada maestra per il pensiero unico, o, ancor peggio, legittimo.